Dow Jones a un passo da quota 20mila
Prezzi da bolla speculativa sulla scommessa del traino fiscale. L’incognita superdollaro
pLa fine dell’anno si avvicina e tra gli investitori ci si chiede se Wall Street continuerà a salire e se l’indice Dow Jones riuscirà a superare la soglia psicologica dei 20mila punti. Il punto massimo toccato dal paniere martedì scorso quando la chiusura è stata a 19974 punti. Ad appena uno 0,13% dal traguardo. Anche gli indici S&P 500 e Nasdaq hanno aggiornato recentemente i loro massimi storici.
Comprare oggi a Wall Street è un’operazione che comporta un significativo grado di rischio dettato principalmente dai multipli, quegli indicatori che rapportando il valore di mercato agli indicatori di conto economico (utili, ricavi patrimonio) danno un’indicazione della valutazione dei titoli. Oggi questi multipli sono estremamente elevati rispetto alla loro media storica. Negli ultimi 5 anni, calcola S&P Global Market Intelligence il rapporto tra prezzo e utili attesi, dell’indice S&P 500 è stato di 15,4 volte. Oggi questo stesso multiplo vale 17 volte. Il 10% in più. Sei anni fa la capitalizzazione dell’S&P 500 (11650 miliardi di dollari) era di poco superiore al monte ricavi (9513) oggi è pari al doppio: 20mila contro 10mila.
Come noto i mercati azionari sono tornati a correre dopo la vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali dello scorso 8 novembre. Il piano di rilancio infrastrutturale promesso dal candidato repubblicano e la risalita delle aspettative inflazionistiche sono eventi che hanno favorito una rotazione di portafoglio dalle obbligazioni alle azioni. Ma se lo storno sul reddito fisso potrebbe essere letto come una salutare correzione di un mercato gonfiato da anni di politiche monetarie espansive, il rally dell’azionario è meno com- prensibile. Wall Street era già cara prima di Trump. Oggi è semplicemente ancora più cara. Ma c’è una spiegazione a questo rally. Seppure al momento solo sulla carta: il mercato sta prefigurando gli effetti della riforma fiscale annunciata da Trump in campagna elettorale che prevede un taglio della tassazione sugli utili societari dal 35 al 15 per cento. Una misura che i rialzisti oggi scommettono possa far salire l’utile delle società quotate. Prefigurando questo scenario il mercato, dal giorno delle elezioni, ha puntato tutto su Wall Street nonostante i prezzi non proprio a buon mercato.
Ma quanto vale la manovra fiscale di Trump? Michael Thompson di Standard & Poor's Investment Advisory Services ha stimato che per ogni punto percentuale in meno di corporate tax ci possa essere un contributo medio di 1,31 dollari all’utile per azione. Un taglio di 20 punti percentuali equivarrebbe a 26,20 dollari in più. L’utile per azione medio stimato per il 2017, che oggi si attesta poco sopra i 131 dollari, salirebbe così a 157 dollari. Un incremento del 20 per cento. Questo nell’ipotesi che tutto il beneficio fiscale finisca nell’ultima riga del conto economico, quella degli utili. Nel caso una parte di questo risparmio fiscale venga destinato ad altri scopi come il riacquisto di azioni proprie, investimenti o acquisizioni è logico aspettarsi che il contributo si riduca. Ad esempio ad un 13% come stimano gli analisti di Société Générale. Anche tenendo per buone queste stime l’impressione è che il mercato abbia già scontato tutto quello che c’è da scontare e che non abbia molto potenziale ancora. La sensazione poi è che fino ad oggi il mercato abbia visto solo il bicchiere mezzo pieno dei risultati elettorali (deregulation, fisco e investimenti pubblici) ignorando i rischi per la Borsa e l’economia americana di una America a guida Trump. Il nuovo inquilino alla Casa Bianca non si è ancora insediato ma le sue schermaglie con la Cina non lasciano presagire nulla di buono a chi vede il rischio del protezionismo all’orizzonte. E certo non fa piacere alle multinazionali a maggior vocazione esportatrice il rafforzamento del biglietto verde (ieri l’euro/dollaro è tornato sotto quota 1,04). Così come non sono da trascurare gli effetti dell’impennata dei tassi sui costi di rifinanziamento del debito societario.
LA MANOVRA FISCALE Alcuni analisti stimano che la riduzione della corporate tax dal 35 %al 15% possa tradursi in un aumento dal 10% al 20% degli utili societari