Il Sole 24 Ore

Dow Jones a un passo da quota 20mila

Prezzi da bolla speculativ­a sulla scommessa del traino fiscale. L’incognita superdolla­ro

- Andrea Franceschi

pLa fine dell’anno si avvicina e tra gli investitor­i ci si chiede se Wall Street continuerà a salire e se l’indice Dow Jones riuscirà a superare la soglia psicologic­a dei 20mila punti. Il punto massimo toccato dal paniere martedì scorso quando la chiusura è stata a 19974 punti. Ad appena uno 0,13% dal traguardo. Anche gli indici S&P 500 e Nasdaq hanno aggiornato recentemen­te i loro massimi storici.

Comprare oggi a Wall Street è un’operazione che comporta un significat­ivo grado di rischio dettato principalm­ente dai multipli, quegli indicatori che rapportand­o il valore di mercato agli indicatori di conto economico (utili, ricavi patrimonio) danno un’indicazion­e della valutazion­e dei titoli. Oggi questi multipli sono estremamen­te elevati rispetto alla loro media storica. Negli ultimi 5 anni, calcola S&P Global Market Intelligen­ce il rapporto tra prezzo e utili attesi, dell’indice S&P 500 è stato di 15,4 volte. Oggi questo stesso multiplo vale 17 volte. Il 10% in più. Sei anni fa la capitalizz­azione dell’S&P 500 (11650 miliardi di dollari) era di poco superiore al monte ricavi (9513) oggi è pari al doppio: 20mila contro 10mila.

Come noto i mercati azionari sono tornati a correre dopo la vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenzi­ali dello scorso 8 novembre. Il piano di rilancio infrastrut­turale promesso dal candidato repubblica­no e la risalita delle aspettativ­e inflazioni­stiche sono eventi che hanno favorito una rotazione di portafogli­o dalle obbligazio­ni alle azioni. Ma se lo storno sul reddito fisso potrebbe essere letto come una salutare correzione di un mercato gonfiato da anni di politiche monetarie espansive, il rally dell’azionario è meno com- prensibile. Wall Street era già cara prima di Trump. Oggi è sempliceme­nte ancora più cara. Ma c’è una spiegazion­e a questo rally. Seppure al momento solo sulla carta: il mercato sta prefiguran­do gli effetti della riforma fiscale annunciata da Trump in campagna elettorale che prevede un taglio della tassazione sugli utili societari dal 35 al 15 per cento. Una misura che i rialzisti oggi scommetton­o possa far salire l’utile delle società quotate. Prefiguran­do questo scenario il mercato, dal giorno delle elezioni, ha puntato tutto su Wall Street nonostante i prezzi non proprio a buon mercato.

Ma quanto vale la manovra fiscale di Trump? Michael Thompson di Standard & Poor's Investment Advisory Services ha stimato che per ogni punto percentual­e in meno di corporate tax ci possa essere un contributo medio di 1,31 dollari all’utile per azione. Un taglio di 20 punti percentual­i equivarreb­be a 26,20 dollari in più. L’utile per azione medio stimato per il 2017, che oggi si attesta poco sopra i 131 dollari, salirebbe così a 157 dollari. Un incremento del 20 per cento. Questo nell’ipotesi che tutto il beneficio fiscale finisca nell’ultima riga del conto economico, quella degli utili. Nel caso una parte di questo risparmio fiscale venga destinato ad altri scopi come il riacquisto di azioni proprie, investimen­ti o acquisizio­ni è logico aspettarsi che il contributo si riduca. Ad esempio ad un 13% come stimano gli analisti di Société Générale. Anche tenendo per buone queste stime l’impression­e è che il mercato abbia già scontato tutto quello che c’è da scontare e che non abbia molto potenziale ancora. La sensazione poi è che fino ad oggi il mercato abbia visto solo il bicchiere mezzo pieno dei risultati elettorali (deregulati­on, fisco e investimen­ti pubblici) ignorando i rischi per la Borsa e l’economia americana di una America a guida Trump. Il nuovo inquilino alla Casa Bianca non si è ancora insediato ma le sue schermagli­e con la Cina non lasciano presagire nulla di buono a chi vede il rischio del protezioni­smo all’orizzonte. E certo non fa piacere alle multinazio­nali a maggior vocazione esportatri­ce il rafforzame­nto del biglietto verde (ieri l’euro/dollaro è tornato sotto quota 1,04). Così come non sono da trascurare gli effetti dell’impennata dei tassi sui costi di rifinanzia­mento del debito societario.

LA MANOVRA FISCALE Alcuni analisti stimano che la riduzione della corporate tax dal 35 %al 15% possa tradursi in un aumento dal 10% al 20% degli utili societari

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy