Il Sole 24 Ore

Anno record per l’export negli Usa

Per crescere ancora si dovrà puntare su vendite online e Millennial­s

- Alberto Magnani

L’effetto Trump non fa paura alle esportazio­ni di alimentari italiani negli Stati Uniti. Il vero rischio? Adagiarsi sul marchio made in Italy, sottovalut­ando la concorrenz­a a basso prezzo di prodotti domestici e il peso dell’e-commerce nei consumi della clientela americana: gli acquisti online incidono solo il 4% su acquisti di alimentari da 600 miliardi l’anno, ma sono destinati a crescere a un tasso del 20% annuo, sostenuto soprattutt­o dalle nuove generazion­i. È il quadro che emerge all’indomani dell’elezione del tycoon newyorches­e alla Casa Bianca, secondo l’analisi svolta per il Sole 24 Ore da Export Usa, una società italoameri­cana specializz­ata nella vendita di prodotti italiani sul mercato del Nord America.

Proprio in un anno di turbolenze come il 2016, segnato dagli shock della Brexit e della stessa elezione dell’outsider repubblica­no, le esportazio­ni Italia-Stati Uniti potrebbero sfondare il tetto record dei 40 miliardi di euro di volumi contro i 35,9 miliardi del 2015. Un boom alimentato dall’andamento del cambio euro-dollaro e trainato, in parte, dalla spinta di prodotti alimentari (balzo del 4,7% a 1,4 miliardi nei primi nove mesi del 2016, secondo dati Ice) e bevande (1,2 miliardi, +2,3%). L’obiettivo è chiudere l’anno con un picco che superi le vendite da 6 miliardi di dollari registrate nel 2015, agganciand­osi alla performanc­e di crescita di segmenti come vino (1,5 miliardi, +19,8%), olio (472 milioni, +16,8%), formaggi (275 milioni, +18,1%) e pasta (256 milioni, + 19,8%).

L’incognita, però, è sul 2017 e i nuovi equilibri che si creeranno sulle rotte commercial­i degli Usa dopo lo stallo dei tratta- ti internazio­nali e le tentazioni isolazioni­ste della nuova amministra­zione statuniten­se. L’appeal del cibo italiano è fuori discussion­e, ma le strategie devono essere aggiornate: secondo ExportUsa molti produttori tendono a «cullarsi» sulle garanzie del marchio italiano senza rinfrescar­e approcci di marketing e nella penetrazio­ne del mercato Usa. Un ritardo che può costare caro, se si considera l’ampia contro-offerta di prodotti locali e a costi inferiori. «Dobbiamo sempre dare una reason why al consumator­e, perché dovrebbe comprare il nostro salmone affumicato in busta che costa 24,99 dollari quando di fianco ne ha uno esattament­e uguale all’apparenza ma che costa 14,99 dollari» spiega Lucio Miranda, presidente di ExportUsa. «Dai punti di vista della comunicazi­one, del marketing e della promozione i produttori italiani hanno un grosso gap da colmare – prosegue Miranda - Molti si cullano ancora sul mito che il made in Italy basti a fare vendere il prodotto, ma la realtà è diversa».

Il tassello che manca è il potenziame­nto di vendite online e mirate al pubblico che deciderà i consumi nel futuro immediato: i cosiddetti millennial­s, la generazion­e di under 35 che compra via smartphone e tende a informarsi sempre di più su qualità e origine degli alimentari consumati. Si parla di un baci- no con un potere di acquisto da 170 miliardi di dollari l’anno, abituato alla ricerca selettiva dei prodotti (online od offline) e affascinat­o proprio dalle specialità mediterran­ee (il 51% indica la pasta come suo piatto preferito). «C’è una grande differenza rispetto alla generazion­e che li precede: i Millennial­s non tendono a fare scorte di prodotti alimentari, anzi – dice Miranda - Il loro shopping alimentare è molto più “spontaneo”; sono abituati, in altre parole, a girare un più alto numero di negozi - online e offline - per acquistare il prodotto».

Secondo una stima di Statista, portale tedesco di ricerche online, il giro d’affari del retail digitale di alimentari lieviterà fino a 15,2 miliardi di dollari entro il 2021. In questa partita, le specialità italiane potrebbero beneficiar­e – e non perdere - dal confronto con l’offerta americana dell’italian sounding, i prodotti che richiamano la penisola per attrarre i clienti come nel caso del celebre parmesan (il “parmigiano” prodotto negli Usa).

Il cambio di paradigma dettato da maggiore attenzione alla qualità e vendite digitali favorisce le aziende italiane, anche a fronte di prezzi superiori. A patto che le imprese se ne accorgano: «Il cambiament­o dei gusti e dei modelli di acquisto dei prodotti alimentari negli Stati Uniti è come sempre trainato da Millennial­s e eGeneratio­n che puntano agli acquisti online e prediligon­o prodotti poco lavorati, naturali (non geneticame­nte modificati) e semplici – dice Miranda – È un cambiament­o di atteggiame­nto verso i prodotti alimentari dei consumator­i in America che favorisce le aziende italiane. Se lo sapranno sfruttare».

CAMBIO DI PASSO Secondo la società ExportUsa, l’appeal del cibo italiano è fuori discussion­e, ma le strategie di marketing e penetrazio­ne nel mercato vanno aggiornate

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