Anno record per l’export negli Usa
Per crescere ancora si dovrà puntare su vendite online e Millennials
L’effetto Trump non fa paura alle esportazioni di alimentari italiani negli Stati Uniti. Il vero rischio? Adagiarsi sul marchio made in Italy, sottovalutando la concorrenza a basso prezzo di prodotti domestici e il peso dell’e-commerce nei consumi della clientela americana: gli acquisti online incidono solo il 4% su acquisti di alimentari da 600 miliardi l’anno, ma sono destinati a crescere a un tasso del 20% annuo, sostenuto soprattutto dalle nuove generazioni. È il quadro che emerge all’indomani dell’elezione del tycoon newyorchese alla Casa Bianca, secondo l’analisi svolta per il Sole 24 Ore da Export Usa, una società italoamericana specializzata nella vendita di prodotti italiani sul mercato del Nord America.
Proprio in un anno di turbolenze come il 2016, segnato dagli shock della Brexit e della stessa elezione dell’outsider repubblicano, le esportazioni Italia-Stati Uniti potrebbero sfondare il tetto record dei 40 miliardi di euro di volumi contro i 35,9 miliardi del 2015. Un boom alimentato dall’andamento del cambio euro-dollaro e trainato, in parte, dalla spinta di prodotti alimentari (balzo del 4,7% a 1,4 miliardi nei primi nove mesi del 2016, secondo dati Ice) e bevande (1,2 miliardi, +2,3%). L’obiettivo è chiudere l’anno con un picco che superi le vendite da 6 miliardi di dollari registrate nel 2015, agganciandosi alla performance di crescita di segmenti come vino (1,5 miliardi, +19,8%), olio (472 milioni, +16,8%), formaggi (275 milioni, +18,1%) e pasta (256 milioni, + 19,8%).
L’incognita, però, è sul 2017 e i nuovi equilibri che si creeranno sulle rotte commerciali degli Usa dopo lo stallo dei tratta- ti internazionali e le tentazioni isolazioniste della nuova amministrazione statunitense. L’appeal del cibo italiano è fuori discussione, ma le strategie devono essere aggiornate: secondo ExportUsa molti produttori tendono a «cullarsi» sulle garanzie del marchio italiano senza rinfrescare approcci di marketing e nella penetrazione del mercato Usa. Un ritardo che può costare caro, se si considera l’ampia contro-offerta di prodotti locali e a costi inferiori. «Dobbiamo sempre dare una reason why al consumatore, perché dovrebbe comprare il nostro salmone affumicato in busta che costa 24,99 dollari quando di fianco ne ha uno esattamente uguale all’apparenza ma che costa 14,99 dollari» spiega Lucio Miranda, presidente di ExportUsa. «Dai punti di vista della comunicazione, del marketing e della promozione i produttori italiani hanno un grosso gap da colmare – prosegue Miranda - Molti si cullano ancora sul mito che il made in Italy basti a fare vendere il prodotto, ma la realtà è diversa».
Il tassello che manca è il potenziamento di vendite online e mirate al pubblico che deciderà i consumi nel futuro immediato: i cosiddetti millennials, la generazione di under 35 che compra via smartphone e tende a informarsi sempre di più su qualità e origine degli alimentari consumati. Si parla di un baci- no con un potere di acquisto da 170 miliardi di dollari l’anno, abituato alla ricerca selettiva dei prodotti (online od offline) e affascinato proprio dalle specialità mediterranee (il 51% indica la pasta come suo piatto preferito). «C’è una grande differenza rispetto alla generazione che li precede: i Millennials non tendono a fare scorte di prodotti alimentari, anzi – dice Miranda - Il loro shopping alimentare è molto più “spontaneo”; sono abituati, in altre parole, a girare un più alto numero di negozi - online e offline - per acquistare il prodotto».
Secondo una stima di Statista, portale tedesco di ricerche online, il giro d’affari del retail digitale di alimentari lieviterà fino a 15,2 miliardi di dollari entro il 2021. In questa partita, le specialità italiane potrebbero beneficiare – e non perdere - dal confronto con l’offerta americana dell’italian sounding, i prodotti che richiamano la penisola per attrarre i clienti come nel caso del celebre parmesan (il “parmigiano” prodotto negli Usa).
Il cambio di paradigma dettato da maggiore attenzione alla qualità e vendite digitali favorisce le aziende italiane, anche a fronte di prezzi superiori. A patto che le imprese se ne accorgano: «Il cambiamento dei gusti e dei modelli di acquisto dei prodotti alimentari negli Stati Uniti è come sempre trainato da Millennials e eGeneration che puntano agli acquisti online e prediligono prodotti poco lavorati, naturali (non geneticamente modificati) e semplici – dice Miranda – È un cambiamento di atteggiamento verso i prodotti alimentari dei consumatori in America che favorisce le aziende italiane. Se lo sapranno sfruttare».
CAMBIO DI PASSO Secondo la società ExportUsa, l’appeal del cibo italiano è fuori discussione, ma le strategie di marketing e penetrazione nel mercato vanno aggiornate