La media impresa «predatrice» all’estero
M&A. Nonostante le difficoltà le multinazionali tascabili fanno shopping oltreconfine
Non c’è solamente lo straniero, « cattivo » , che fa shopping i n Italia. Esiste anche l’impresa « made in Italy » capace di concretizzare l’M&A oltreconfine.
Certo: l’importanza delle acquisizioni dall’estero (potenziali o già concretizzate) è purtroppo molto elevata. Inoltre nel 2016, secondo Dealogic, il controvalore delle operazioni dei nostri «predatori» fuori dal Belpaese è sceso. Il dato è passato dai 14,3 miliardi dello scorso esercizio ai 7,5 miliardi dell’anno che va concludendosi. Vale a dire un livello simile al 2013 (nel 2014 la cifra si era assestata a 10,1 miliardi).
Ciò detto, però, il numero delle singole operazioni portare a termine da inizio anno è comunque salito rispetto al 2015. Il che mostra come, nonostante tutto, esistano delle realtà capaci di espandersi fuori dagli italici confini.
Aziende, in grado di navigare le difficili acque della crisi, di cui da un lato si parla poco. E che, dall’altro, hanno migliorato la redditività e rilanciato gli investimenti. Tra cui quelli, per l’appunto, finalizzati alla crescita per linee esterne. Si tratta (spesso) delle cosiddette multinazionali tascabili. Società le cui acquisizioni, a ben vedere, non «nascono» negli ultimi anni. Bensì, trovano la loro ragione d’essere in una lunga storia di M&A.
Una pattuglia di piccolemedie imprese che, avendo gran parte del proprio business all’estero, da un lato è consapevole di come il mercato domestico (in crisi) sia insufficiente; e, dall’altro, sfrutta la debolezza della concorrenza per cogliere l’occasione.
Così è, ad esempio, per Interpump. Il gruppo, che negli ultimi anni ha usato non poco lo shopping per spingere il business, ha portato in porto 4 acquisizioni nell’esercizio in corso. Di queste 3 sono state realizzate all’estero. Una «voglia» di maggiore internazionalizzazione che ha caratterizzato la stessa DiaSorin. Questa, sempre nel 2016, ha acquisito da Quest Diagnostics il ramo d’azienda di immunodiagnostica e diagnostica molecolare. E che dire, poi, di Fila? La società delle famose matite, lo scorso ottobre, ha comprato la francese Canson.
pTra le altre, poi, può ricordarsi la stessa Esprinet. Il gruppo informatico di distribuzione a valore aggiunto ha fatto «propria» la spagnola Vinzeo Technologies. Mentre, dal canto suo, Amplifon ha acquisito due catene distributive in quel di Germania. Nel comparto della lavorazione del legno, invece, Biesse si è «allargata» in Turchia.
Già, la Turchia. Questo mercato, a ben vedere, è uno di quelli in cui, nel passato, si è focalizzata l’espansione anche di una blue chip: Azimut. La società finanziaria, nel 2016, ha poi concretizzato diverse operazioni straordinarie in Australia. Al contrario di Campari il cui focus è stato sul Vecchio continente. Il gruppo infatti, lo scorso giugno, ha portato in porto l’Opa amichevole sulla società che produce il Grand Marnier.
Insomma: non poche realtà italiane (altri esempi potrebbero farsi) si espandono all’estero. E questo nonostante la debole congiuntura domestica. Anzi: in realtà proprio la crisi ha dato un impulso all’internazionalizzazione.
In primis perchè ha spinto a cercare più efficienze e migliorare il business. Una rimonta della redditività che, quasi inutile dirlo, ha agevolato lo shopping. Oltre a ciò, poi, la debole domanda interna ha indotto le imprese a vedere nell’internazionalizzazione lo strumento per controbilanciare l’eventuale rallentamento delle proprie attività domestiche.
Ma non è solo una questione di diversificazione territoriale del business.
In un simile contesto, infatti, l’operazione straordinaria può essere di aiuto sotto altri aspetti. Ad esempio permette, magari dopo avere collaborato con l’impresa locale, di acquisire quote di mercato in quello Stato. Oppure, offre la possibilità di portarsi in casa una competenza, soprattut- 7 In economia aziendale la leva finanziaria è l’indicatore che «quantifica» il ricorso al debito (ovvero l’uso di capitali di terzi quali banche o altri finanziatori) da parte di un’azienda. Più il rapporto di indebitamento è elevato, più l’impresa e la sua attività economica dovrà considerarsi rischiosa. to tecnologica, che altrimenti sarebbe difficile sviluppare internamente. Non solo. Nel mercato globalizzato l’M&A è anche utile ad acquisire capacità produttiva in aree strategiche dove, per il tipo di business, l’export è antieconomico. Senza dimenticare, peraltro, l’hedging naturale sul fronte dei tassi di cambio valutari. Di cosa si tratta? Un esempio può aiutare a comprendere meglio la situazione. Negli ultimi anni il mondo delle valute è diventato molto volatile. Difficile da gestire con strumenti finanziari di copertura. Ebbene: potere vantare dei costi denominati nelle monete straniere locali permette di compensare, a livello reddittuale, l’eventuale calo nominale del fatturato.
Fin qui alcune considerazioni sul fronte dell’operatività aziendale. E, tuttavia, c’è anche un altro aspetto che ha «agevolato» la voglia di M&A. Il crollo dei tassi di mercato. Diverse società, sfruttando il minore costo del denaro, hanno riorganizzato il debito allungandolo e riducendo gli oneri finanziari. Il che, dapprima, ha permesso di fare scendere l’eccessiva leva. E poi, utilizzando lo stesso calo dei tassi, ha legittimato la richiesta al mercato del prestito per l’acquisizione.