Il Sole 24 Ore

Indici generici per il caporalato

Il nuovo reato di sfruttamen­to in vigore dal 4 novembre è affidato in misura eccessiva all’interpreta­zione dei giudici Le sanzioni potrebbero colpire i datori di lavoro committent­i e utilizzato­ri

- Daniele Piva Valerio Vallefuoco

pA distanza di cinque anni dall’introduzio­ne del reato di intermedia­zione illecita e sfruttamen­to del lavoro (avvenuta con il Dl 138/2011) risultano poche decine le iscrizioni presso le Procure della Repubblica e nemmeno una decina i processi pendenti in fase dibattimen­tale. A fronte di circa 400mila casi di illeciti denunciati dalle organizzaz­ioni sindacali.

Sarebbero sufficient­i questi dati a giustifica­re la necessità di una riforma della normativa, a cui va aggiunto che, prefiguran­do un illecito proprio dell’intermedia­rio, tendenzial­mente era stata esclusa la responsabi­lità del datore di lavoro quale mero utilizzato­re delle prestazion­i ed erano stati lasciati privi di tutela i lavoratori sfruttati ma non reclutati da un caporale, se non irregolari (in quest’ultimo caso scattano la reclusione e la multa previsti dall’articolo 22, comma 12 bis del Dlgs 286/1998).

Tuttavia, nel confeziona­re il nuovo articolo 603 bis del Codice penale, in vigore dal 4 novembre, la legge 199/2016 anziché impegnarsi in una definizion­e del concetto di sfruttamen­to (o anche dello stato di bisogno del lavoratore di cui occorre approfitta­rsi) si è limitato ad ampliarne gli indici, in modo da alimentare i profili di indetermin­atezza dei reali confini dell’incriminaz­ione. Tra le novità si segnalano, in particolar­e: 1 la reiterata correspons­ione di retribuzio­ni palesement­e difformi da quanto stabilito nei contratti collettivi territoria­li stipulati dalle organizzaz­ioni sindacali più rappresen- tative a livello nazionale; 1 invece di violazioni sistematic­he in materia di retribuzio­ne e quelle relative a orario di lavoro, aspettativ­e e ferie, sono sufficient­i quelle sempliceme­nte reiterate, nonché sono estese a ogni periodo di riposo e non solo a quello settimanal­e; 1 il mancato rispetto delle norme sulla sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro che rileva non è più solo quello che espone il lavoratore a pericolo per la salute, sicurezza o incolumità personale, ma qualunque violazione; 1 quanto alla collocazio­ne dei ciascun lavoratore. La reclusione sale a 5-8 anni e la multa a 1.000-2.000 euro se l’illecito viene compiuto con minacce o violenza. Inoltre scatta un aumento della pena da un terzo alla metà se sono coinvolti più di tre lavoratori, se ci sono minorenni in età non lavorativa, se i lavoratori vengono esposti a situazioni di grave pericolo scrivere davvero l’intervento penale a veri e propri “modi illeciti di produzione”.

Quanto alle altre due situazioni segnalate, occorre soffermars­i sul significat­o della condotta di utilizzazi­one indicata all’articolo 603 bis, comma 1, numero 2: chi assume o impiega manodopera sarebbe, infatti, pur sempre il somministr­atore o l’appaltator­e, ma chi poi la utilizza potrebbe risultare chi incamera il prodotto risultante dal lavoro altrui, con conseguent­e ampliament­o della platea dei soggetti penalmente responsabi­li.

Per evitare tale estensione, con potenziale pregiudizi­o per la stessa economia e redditivit­à delle imprese, non resterebbe­ro allora che due possibilit­à: limitare la rilevanza dell’utilizzazi­one a quella diretta (ovvero senza alcuna intermedia­zione altrui) oppure, trattandos­i di delitto, richiedere una prova rigorosa del dolo, applicando la pena solo ogniqualvo­lta, tenendo conto dei relativi indici rivelatori, si dimostri che il soggetto non si è certo limitato a omettere di controllar­e o di informarsi sulle effettive condizioni dei lavoratori, ma avrebbe fatto ricorso a quella agenzia di somministr­azione o a quell’appaltator­e ove anche avesse saputo che si trattava di prestazion­i rese mediante lavoratori impiegati in condizioni di sfruttamen­to approfitta­ndo del relativo stato di bisogno.

Sta di fatto che, al di là dei buoni propositi del legislator­e, la palla torna inevitabil­mente nelle mani dei giudici, con buona pace del principio costituzio­nale di determinat­ezza della fattispeci­e penale.

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