La banca dati della reputazione lede la privacy
Il provvedimento dell’Autor ità
pUna banca dati della reputazione di persone fisiche e giuridiche basata su un algoritmo capace di calcolare la credibilità di appaltatori, subappaltatori, fornitori, distributori, clienti e aspiranti dipendenti. Questa era l’idea messa a punto dalle società Mevaluate Holding, Mevaluate Italia Srl e dall’associazione Mevaluate onlus, che stavano lavorando a una piattaforma web. Il progetto ha, però, non ha ottenuto il via libera dal Garante per la privacy, secondo cui la banca dati del rating reputazionale viola le norme del Codice sulla protezione dei dati personali e incide negativamente sulla dignità delle persone.
Secondo l’Autorità, infatti, il sistema metterebbe a rischio la privacy dei soggetti, anche se l’iscrizione alla banca dati sarebbe volontaria: nel progetto iniziale, infatti, l’adesione alla piattaforma era del tutto volontaria. I soggetti che avrebbero voluto essere “valutati” avrebbero dovuto inserire nel sistema una serie di dati e documenti sulla base dei quali l’algoritmo avrebbe poi calcolato il rating reputazionale.
Tra le informazioni richieste per l’elaborazione del punteggio c’erano i certificati del casellario giudiziale; i certificati di regolarità fiscale; i certificati relativi ad abilitazioni; i diplomi; le denunce; le querele; i provvedimenti giudiziari; la partecipazione ad attività di volontariato; gli encomi; i premi; le referenze e le informazioni tratte da articoli stampa, radio e tv.
«Pur essendo legittima, in linea di principio, l’erogazione di servizi che possano contribuire a rendere maggiormente effi- cienti, trasparenti e sicuri i rapporti socio-economici - si legge nel provvedimento numero 488 del Garante -, il sistema in esame presuppone una raccolta massiva, anche online, di informazioni suscettibili di incidere significativamente sulla rappresentazione economica e sociale di un’ampia platea di individui (clienti, candidati, imprenditori, liberi professionisti, cittadini)». Il “rating reputazionale” elaborato potrebbe quindi ripercuotersi sulla vita delle persone censite, influenzando le scelte altrui e condizionando l’ammissione degli
L’IDEA Il progetto si basava su una valutazione attraverso un algoritmo senza indicare il peso degli elementi considerati
interessati a prestazioni, servizi o benefici. Nel provvedimento l’Autorità solleva anche un’altra questione: «La società non è stata in grado di dimostrare l’efficacia dell’algoritmo che regolerebbe la determinazione dei rating al quale dovrebbe essere rimessa, senza possibilità di contestazione, la valutazione dei soggetti censiti».
A segnalare la vicenda al Garante era stato il Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro al quale le società avevano chiesto il patrocinio e avevano offerto la possibilità di diventare «consulenti reputazionali». I consulenti avevano però ritenuto che la piattaforma non avesse i requisiti per garantire la privacy agli iscritti.