Diffamazione online: il legale rappresentante concorre nel reato
pIl legale rappresentante della società che gestisce un sito Internet risponde di concorso nella diffamazione se, a conoscenza del commento lesivo, non si adopera per farlo rimuovere. La Corte di cassazione (sentenza 54946) respinge il ricorso dell’amministratore della Srl gerente del sito agenziacalcio.it, sottoposto a sequestro preventivo, per aver pubblicato un commento nel quale il presidente della Lega nazionale dilettanti della Federazione italiana Gioco Calcio, Carlo Tavecchio, veniva definito «emerito farabutto» e «pregiudicato doc», con tanto di certificato penale allegato.
Secondo l’imputato la sentenza con la quale la Corte d’Appello lo aveva condannato, ribaltando l’assoluzione in primo grado, era contraddittoria. La Corte territoriale, infatti, pur avendo riconosciuto che l’autore aveva inserito autonomamente il commento nella community del sito, lo aveva ritenuto responsabile per il solo fatto di aver ricevuto una mail con il certificato penale di Tavecchio, inviata proprio dall’autore del pezzo “incriminato”. I giudici, sempre secondo la difesa, non avevano tenuto conto che il ricorrente in quel periodo si trovava in vacanza all’estero e non aveva accesso al sito nè aveva letto la posta elettronica.
Per la Cassazione però la Corte territoriale aveva correttamente motivato e giustamente fatto pesare degli elementi sottovalutati in primo grado. Il ricorrente, pur avendo ricevuto nella suo indirizzo mail il certificato penale della parte lesa, ed essendo dunque a conoscenza della pubblicazione del commento, lo aveva lasciato online per due settimane, consentendo così che l’articolo «esercitasse l’efficacia diffamatoria» . Al protrarsi degli effetti del reato si era posto fine solo grazie al sequestro preventivo del sito.
Per la Suprema corte la versione dell’imputato, che si diceva all’oscuro delle pubblicazione fino al momento in cui era stata messa in atto la misura cautelare preventiva, era smentita dai fatti. Oltre che dall’invio della mail, la conoscenza era confermata anche da un articolo a firma dello stesso imputato, pubblicato prima del sequestro, dal titolo «chiedere se Tavecchio è stato eletto legalmente è diffamazione». In questo pezzo, oltre ai collegamenti al certificato penale di Tavecchio, c’era la risposta ad una comunicato della Federazione italiana Gioco calcio, con la quale si affermava che, dopo la pubblicazione dell’articolo poi considerato diffamatorio, era dovere del sito fornire un’informazione senza censure sui motivi di ineleggibilità di Tavecchio. Il tutto giustificato da un’esigenza di coerenza con i contenuti di una campagna decisamente critica condotta dal sito nei confronti della parte lesa.
Per la Cassazione il generico riferimento fatto dall’imputato alla sua vacanza all’estero, non prova l’impossibilità di intervenire per assumere le iniziative necessarie a mettere fine alla condotta diffamatoria.