La quiete apparente di Gentiloni
C’era una quiete apparente nel discorso di Gentiloni. Un’intenzione di rivestire d’ovatta tutte le “spine” – dalle banche al lavoro - che però restano intatte e che potrebbero impegnare il Governo per un tempo non così breve.
Le domande della conferenza stampa di fine anno sono state un grande slalom tra le questioni più scottanti - Monte dei Paschi, referendum sul lavoro, legge elettorale, conti pubblici, rapporto con l’Europa - e il neo premier girava su ogni porta con una pacatezza quasi innaturale. E soprattutto dando sempre l’impressione di una sua provvisorietà e del fatto che di qui a breve, al massimo entro l’estate, si andrà a votare. E infatti ha parlato di se stesso e del suo Esecutivo come di un «servizio», si è rimesso al Parlamento per la scadenza della legislatura dicendo che il voto «non è una mi- naccia», ha fatto due passi indietro sulla legge elettorale lasciando campo libero ai partiti. Ha pure sottolineato la continuità con Renzi, con i due anni di Governo che «hanno portato risultati» sorvolando sul senso politico della bocciatura referendaria. Insomma, ha parlato come se obbedisse a un cartello “do not disturb” che qualcuno aveva appeso al portone del Nazareno, sede del Pd.
È vero che quei due toni sotto, quell’andatura lenta nel discorso appartiene alla sua natura ma risponde anche a una precisa tecnica di governo che ha concordato con il Quirinale. Quella di togliere tensione dalla scena dopo mesi di campagna elettorale mantenendo una distanza di sicurezza con Renzi e le opposizioni per durare il tempo necessario. Che non è solo quello di una nuova legge elettorale.
Il gioco di ombre cinesi di questi giorni è quello di legare la legislatura alla sola riforma elettorale come se si potessero saltare le questioni più complesse, quelle – tra l’altro - che richiederanno un corpo a corpo molto intenso con l’opinione pubblica. È possibile, ad esempio, ritenere ininfluente per la data del voto quello che accadrà sulle banche? O non considerare i dati dell’economia e conti pubblici (con aumento del debito) su cui si alzerà il sipario nei prossimi mesi? Se nuove regole elettorali sono indispensabili per andare a elezioni, ci sono anche dei rischi reali per il Paese e dei test di popolarità non indifferenti per il Governo e per il Pd di Renzi. Basta guardare il referendum del 4 dicembre. La corsa verso un accordo per il proporzionale o il Mattarellum appare piuttosto inutile se prima non si arriva a una chiarezza sulle soluzioni per il risparmio.
Se ieri Gentiloni ha derubricato il difficile e teso braccio di ferro con Francoforte e Bruxelles sulle banche «all’inizio di una fase dialettica», appare compli- cato costruirci una corsa al voto. E sembra pure difficile un via libera alle urne da parte del Quirinale se si è nel mezzo di questioni ancora aperte. Quella calma apparente di ieri sembrava il tono necessario per placare chi ha voglia delle elezioni subito – Renzi e Salvini – o chi fa finta di volerle – i 5 Stelle – ma non sembrava lo specchio fedele delle reali intenzioni di Colle e Palazzo Chigi.