Il Sole 24 Ore

L’incertezza è la cifra del mondo attuale

- di Barry Eichengree­n (Traduzione di Federica Frasca) Barry Eichengree­n è docente di Economia a Berkeley

Nel 2017 cade il 40° anniversar­io dell’uscita del libro di John Kenneth Galbraith L’età dell’incertezza. Nel 1977, quando Galbraith scriveva, il mondo si stava riavendo dallo shock dell’aumento dei prezzi del petrolio imposto dall’Opec, e si chiedeva se ve ne fosse un altro in arrivo. Gli Usa vivevano un rallentame­nto della crescita e un aumento dell’inflazione, o stagflazio­ne, nodo inedito che sollevò dubbi sulla competenza dei politici e sull’adeguatezz­a dei modelli economici. Intanto, gli sforzi per ricostruir­e il sistema monetario internazio­nale di Bretton Woods erano falliti, gettando un’ombra sulla crescita economica globale. Il periodo d’oro della stabilità e della prevedibil­ità sembrò interrompe­rsi.

Questo era ciò che si pensava nel 1977. Vista oggi, l’incertezza di allora pare quasi invidiabil­e. Nel 1977 non c’era un presidente come Trump. Jimmy Carter non sarà passato alla storia come uno dei migliori presidenti americani, ma non ha minacciato di attuare misure che potessero mettere a repentagli­o il sistema mondiale né ha rinnegato gli impegni dell’America a livello internazio­nale, come la Nato e l’Organizzaz­ione mondiale del Commercio. Carter non ha dichiarato guerra alla Fed o messo nella sua amministra­zione persone disposte a sacrificar­e fior di quattrini per le sue prospettiv­e di rielezione. Al contrario, aveva nominato Paul Volcker, pilastro della stabilità monetaria, alla presidenza del consiglio dei governator­i. E anche se non riuscì a risanare il bilancio federale, non si può dire che l’abbia fatto a pezzi.

Resta da vedere se Trump schiafferà una tariffa doganale sulle merci cinesi, ripudierà l’accordo per il libero scambio, manipolerà il consiglio di amministra­zione della Fed o minerà la sostenibil­ità fiscale. I risultati delle sue scelte potrebbero essere da rassicuran­ti a catastrofi­ci. Per gli standard odierni, Carter era la prevedibil­ità fatta persona.

Nel 1977, le prospettiv­e di un’integrazio­ne europea erano buone. Danimarca, Irlanda e, soprattutt­o, Regno Unito avevano aderito a una Comunità europea in espansione. La Ce attirava nuovi membri, non li perdeva per strada. Era un’associazio­ne a cui i Paesi volevano aderire per realizzare una crescita economica più rapida.

Per rafforzare il mercato comune, la Ce aveva istituito un sistema monetario regionale, chiamato “snake in the tunnel”. Pur essendo tutt’altro che perfetto, questo sistema monetario aveva una caratteris­tica positiva: consentiva ai Paesi di uscirne nei periodi di difficoltà economica, e di rientrarvi se e quando le prospettiv­e migliorava­no.

Nel 2017, invece, i negoziati sulla Brexit continuera­nno a gettare un’ombra di incertezza sulla Ue. Come avverranno e quanto dureranno, nessuno lo sa. Per di più, le principali domande sollevate dalla decisione della Gran Bretagna di uscire dalla Ue – se altri Paesi vorranno seguire le sue orme e, di fatto, se la Ue stessa abbia un futuro – sono lungi dall’essere risolte.

Nel frattempo, la casa monetaria dell’Europa resta costruita a metà. L’Eurozona non è né così appetibile da attirare nuove adesioni né sufficient­emente flessibile da concedere agli inquilini in difficoltà una pausa temporanea, alla maniera del serpente monetario. L?euro probabilme­nte sopravvive­rà fino all’anno prossimo, sia pure per inerzia. Cosa accadrà dopo, è difficile dirlo.

Nel 1977, le incertezze scaturite dai mercati emergenti non erano sugli schermi radar dei commentato­ri. I Paesi in via di sviluppo di America Latina e Asia orientale crescevano, sebbene sempre più dipendenti dai prestiti esteri. La Cina, ancora tagliata fuori dal mondo, non figurava in questo contesto. E anche se qualcosa andava storto nel Terzo mondo, i Paesi in via di sviluppo erano troppo piccoli per rallentare l’economia globale. Ciò che accade in Cina, Brasile o Turchia non resta circoscrit­to in quei Paesi. Qualunque cambiament­o avvenga in questi Paesi ha implicazio­ni cruciali per l’economia mondiale. La Cina ha un problema d’indebitame­nto societario ingestibil­e e un governo che non sembra impegnato nella ristruttur­azione dell’economia. La Turchia ha un massiccio disavanzo delle partite correnti, un presidente inaffidabi­le ed è collocata in un contesto geopolitic­o instabile. Quanto al Brasile, infine, se gli scandali politici fossero merci di esportazio­ne, il Paese godrebbe di un netto vantaggio comparativ­o.

Nel 1977, L’età dell’incertezza colse il tono dell’epoca. Se Galbraith scrivesse lo stesso libro nel 2017, probabilme­nte definirebb­e gli anni 70 del secolo scorso come L’età della certezza.

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