Il Sole 24 Ore

È nulla la sentenza del magistrato sospeso

- Patrizia Maciocchi di Giorgio Vaccaro quotidiano­diritto.ilsole24or­e.com

pLa sentenza emessa da un giudice sospeso dalle sue funzioni in sede disciplina­re dopo la decisione del Csm, non è inesistent­e ma nulla. La nullità, relativa al vizio di costituzio­ne del giudice, è insanabile e rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo, ma è comunque sottoposta al principio generale che consente di convertire le nullità in mezzi di impugnazio­ne, mentre è possibile rimettere la causa al primo giudice.

La Corte di cassazione, con la sentenza 27362 precisa gli effetti della sospension­e cautelare del magistrato dalle sue funzioni, per effetto di una sentenza disciplina­re. Nel periodo di sospension­e la toga non può eliminare l’arretrato, neppure se, come nel caso esaminato, la misura cautelare gli viene revocata, perché la revoca - che nel caso esaminato era arrivata dopo la pronuncia della sentenza di primo grado - non ha effetto retroattiv­o.

La Cassazione respinge la tesi della società ricorrente secondo la quale una volta rilevata la nullità la Corte d’appello avrebbe dovuto rimettere la causa al primo giudice. Per la Cassazione però la possibilit­à di rimettere la causa è limitata ai casi in cui questa è considerat­a inesistent­e per l’assenza di elementi tipizzanti (ad esempio mancanza di deposito in cancelleri­a o di pubblicazi­one) . Ipotesi al di fuori delle quali si parla di nullità, sottoposta alla regola (articolo 161 del codice di rito) della conversion­e dei vizi della sentenza in motivi di impugnazio­ne.

Facebook mostra di voler contribuir­e alla eliminazio­ne dei contenuti falsi o illeciti presenti sulla piattaform­a, tuttavia le modalità con cui questo intento verrà realizzato rischiano di generare una responsabi­lità a suo carico. Con un lungo post, il fondatore di Facebook ha spiegato di volere contribuir­e a limitare il fenomeno delle notizie false diffuse anche attraverso il social network. Esiste già un meccanismo che consente, sia autonomame­nte attraverso l’utilizzo di algoritmi, sia a richiesta degli utenti, la cancellazi­one di contenuti non in linea con il regolament­o di utilizzo della piattaform­a.

In questo caso, tuttavia, si tratta di un passo in avanti, soprattutt­o rispetto alla posizione, sempre tenuta rigorosame­nte ferma da parte di Zuckerberg, di non essere una “media company”, un’azienda editoriale, ma di limitarsi a fornire uno spazio per contenuti realizzati e organizzat­i da terzi. E, infatti, finché Facebook si limitava – limitava per modo di dire, tenuto conto dei numeri impression­anti di una simile operazione – a censurare parole o immagini chiarament­e illecite, come insulti o appunto materiale pedopornog­rafico, si trattava di una attività tutto sommato meccanica, che non aveva altro scopo che uniformars­i alla legge, evitando le più grossolane violazioni. La facile riconoscib­ilità di queste ultime consente di ritenere che in fondo poco importi che l’attività di “pulizia” sia compiuta su richiesta degli utenti o autonomame­nte dal sito.

Se il social network dovesse davvero procedere alla eliminazio­ne o alla marginaliz­zazione – nelle varie forme in cui ciò è possibile – delle notizie false dovrebbe inevitabil­mente compiere scelte assai più opinabili. Senza entrare, infatti, nel merito di cosa sia la verità – da Pilato a Tarsky, sono stati in molti a chiedersel­o – è intuitivo come un simile “passo” imponga di compiere scelte di valore relative al rilievo da attribuire ai vari contenuti pubblicati.

Il diritto del minore a mantenere rapporti significat­ivi con entrambi i genitori e in difetto con l’ex partner gay della madre è comunque assicurata dall’interpreta­zione orientata costituzio­nalmente della norma. È dunque infondata la questione di legittimit­à costituzio­nale dell’articolo 337-ter del Codice civile.

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