È nulla la sentenza del magistrato sospeso
pLa sentenza emessa da un giudice sospeso dalle sue funzioni in sede disciplinare dopo la decisione del Csm, non è inesistente ma nulla. La nullità, relativa al vizio di costituzione del giudice, è insanabile e rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo, ma è comunque sottoposta al principio generale che consente di convertire le nullità in mezzi di impugnazione, mentre è possibile rimettere la causa al primo giudice.
La Corte di cassazione, con la sentenza 27362 precisa gli effetti della sospensione cautelare del magistrato dalle sue funzioni, per effetto di una sentenza disciplinare. Nel periodo di sospensione la toga non può eliminare l’arretrato, neppure se, come nel caso esaminato, la misura cautelare gli viene revocata, perché la revoca - che nel caso esaminato era arrivata dopo la pronuncia della sentenza di primo grado - non ha effetto retroattivo.
La Cassazione respinge la tesi della società ricorrente secondo la quale una volta rilevata la nullità la Corte d’appello avrebbe dovuto rimettere la causa al primo giudice. Per la Cassazione però la possibilità di rimettere la causa è limitata ai casi in cui questa è considerata inesistente per l’assenza di elementi tipizzanti (ad esempio mancanza di deposito in cancelleria o di pubblicazione) . Ipotesi al di fuori delle quali si parla di nullità, sottoposta alla regola (articolo 161 del codice di rito) della conversione dei vizi della sentenza in motivi di impugnazione.
Facebook mostra di voler contribuire alla eliminazione dei contenuti falsi o illeciti presenti sulla piattaforma, tuttavia le modalità con cui questo intento verrà realizzato rischiano di generare una responsabilità a suo carico. Con un lungo post, il fondatore di Facebook ha spiegato di volere contribuire a limitare il fenomeno delle notizie false diffuse anche attraverso il social network. Esiste già un meccanismo che consente, sia autonomamente attraverso l’utilizzo di algoritmi, sia a richiesta degli utenti, la cancellazione di contenuti non in linea con il regolamento di utilizzo della piattaforma.
In questo caso, tuttavia, si tratta di un passo in avanti, soprattutto rispetto alla posizione, sempre tenuta rigorosamente ferma da parte di Zuckerberg, di non essere una “media company”, un’azienda editoriale, ma di limitarsi a fornire uno spazio per contenuti realizzati e organizzati da terzi. E, infatti, finché Facebook si limitava – limitava per modo di dire, tenuto conto dei numeri impressionanti di una simile operazione – a censurare parole o immagini chiaramente illecite, come insulti o appunto materiale pedopornografico, si trattava di una attività tutto sommato meccanica, che non aveva altro scopo che uniformarsi alla legge, evitando le più grossolane violazioni. La facile riconoscibilità di queste ultime consente di ritenere che in fondo poco importi che l’attività di “pulizia” sia compiuta su richiesta degli utenti o autonomamente dal sito.
Se il social network dovesse davvero procedere alla eliminazione o alla marginalizzazione – nelle varie forme in cui ciò è possibile – delle notizie false dovrebbe inevitabilmente compiere scelte assai più opinabili. Senza entrare, infatti, nel merito di cosa sia la verità – da Pilato a Tarsky, sono stati in molti a chiederselo – è intuitivo come un simile “passo” imponga di compiere scelte di valore relative al rilievo da attribuire ai vari contenuti pubblicati.
Il diritto del minore a mantenere rapporti significativi con entrambi i genitori e in difetto con l’ex partner gay della madre è comunque assicurata dall’interpretazione orientata costituzionalmente della norma. È dunque infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 337-ter del Codice civile.