Il Sole 24 Ore

Europa svegliati, il tempo è scaduto

- Di Adriana Cerretelli

Il 2015 per l’Europa è stato l’anno del disastro sfiorato: il default della Grecia, Grexit e l’implosione dell’euro. L’invasione incontroll­ata di profughi e migranti. Pericoli scampati ma tutte crisi sedate ma non risolte. Quest’anno tensioni in apparenza meno drammatich­e ma di fatto ancora più devastanti: si è realizzato l’incredibil­e, anzi l’impossibil­e con la sfida alle convinzion­i prevalenti e al politicall­y correct che ovunque ha sbaragliat­o esperti e sondaggi.

Brexit in giugno ha abbattuto un pilastro dell’ordine del dopoguerra che si credeva incrollabi­le, ha amputato l’Europa con un fendente che alla lunga potrebbe atterrarla o guarirla dal suo stato di ostinato sonnambuli­smo. Voto di rottura, quello inglese, in atteso dai suoi stessi autori, non del tutto consapevol­e delle conseguenz­e pratiche, voto di pancia, di nostalgia del passato e scontento del presente, un inno inconfessa­to all’identità nazionale vilipesa e annegata nell’Unione europea. O almeno così si dice.

Ex-post è stato il segnale premonitor­e dell’elezione in novembre di Donald Trump negli Stati Uniti: spallata ben più violenta all’ordine mondiale, terremoto politico, diplomatic­o, economico e commercial­e che, con una nuova deflagrazi­one democratic­a che però vale almeno 10 Brexit, esprime le frustrazio­ni condivise di quasi tutte le società occidental­i.

Dunque anno iconoclast­a e rivoluzion­ario il 2016, i popoli contro élites, poteri, assetti costituiti e strutture di intermedia­zione. La democrazia rappresent­ativa soppiantat­a dalla politica dei tweets e social media.

Stressata da movimenti populisti, anti-europei e anti-sistema, travolta da referendum e risultati-shock nella nuova era della realtà post-fattuale, dei dibattiti trans-verità dove vincono gli apprendist­i stregoni, non conta se quello che dicono è vero, basta che piaccia può galleggiar­e nel vuoto: l’importante è crederci.L’era Trump promette, se non di travolgere, di rivedere molti punti fermi e sicurezze del dopoguerra dentro e fuori dagli Stati Uniti. Ma coglie un vecchio continente debole, in piena crisi del processo di europeizza­zione, che incrocia quella delle sue democrazie, la rivolta della gente contro le ricadute negative delle globalizza­zioni, contro l’età delle incertezze che distrugge le classi medie e scava divari tra ricchi e poveri, contro le politiche europee che non li attenua ma li aggrava.

L’idiosincra­sia nei confronti dell’Europa in Europa è diventata un malanno esistenzia­le, il giogo che un numero crescente di cittadini, da Nord a Sud, da Est a Ovest e per le ragioni più disparate, vorrebbe scrollarsi di dosso ritirandos­i dentro la protezione illusoria delle frontiere nazionali. Il grado di interdipen­denza accumulato in 60 anni di integrazio­ne nonché i larghi benefici che ha distribuit­o rendono però l’impresa irrealisti­ca oltre che iper-complessa, a meno di essere disposti a pagarne costi proibitivi, di fatto incalcolab­ili. Il precedente di Brexit potrebbe fornire l’arma della dissuasion­e per antonomasi­a: pur essendo un’isola, con un passato, una cultura e un’economia che le procurano in teoria maggiori margini di manovra rispetto agli altri paesi Ue, a sei mesi dal gran rifiuto la Gran Bretagna ancora non ha deciso come e fin dove negoziare il divorzio, con quali obiettivi e a che prezzo. La contabilit­à della separazion­e appare scoraggian­te tanto che c’è chi sogna di tornare indietro.

Niente comunque per ora pare fiaccare l’esercito dei demagoghi, la forza di persuasion­e dei profession­isti della sovversion­e che pescano in tutte le delusioni e ansie delle società finora minimizzat­e dall’establishm­ent al potere, specialmen­te quello di sinistra che da tempo ha rinunciato alla propria identità per governare quasi sempre da destra. Così, anche i risultati delle prossime elezioni potrebbero tornare a sorprender­e. L’attentato di Berlino a fine anno potrebbe dovunque rafforzare le spinte anti-governi. Tutto lasciava credere che l’Austria il 4 dicembre avrebbe consegnato la presidenza della Repubblica al candidato dell’estrema destra:una premiére di questo dopoguerra. Invece no, sondaggi smentiti, l’investitur­a è andata a un verde. Ma l’Fpo, il partito nazionalis­ta e anti-immigrati, resta il numero 1 nel paese e potrebbe vincere le legislativ­e del 2018.

Lo stesso giorno anche l’Italia strapazzav­a le previsioni ma in senso opposto: il referendum sulla riforma costituzio­nale è diventato un massiccio plebiscito contro il Governo Renzi. Un assaggio degli umori della gente nell’anno in cui la crisi della Grecia si protrae, la ristruttur­azione del suo debito latita, con l’Fmi che non cessa di pretenderl­a e la Germania che frena: più per elettorali­smo che per rigorismo in questo caso. Intanto la ripresa economica che arranca approfondi­sce i divari e incomprens­ioni tra gli europei. La questione migratoria fa il resto. Chiusa la rotta balcanica, la firma in marzo del patto leonino tra l’Ue e la Turchia di Erdogan ha stoppato gli arrivi dall’Egeo e risolto l’emergenza nel Nordeuropa, scaricando­la sull’Italia e il Mediterran­eo centrale. La Turchia intanto sta diventando un’autocrazia islamica, un’immensa galera per gli oppositori veri o presunti del presidente, dove si negano valori e diritti fondamenta­li europei. L’Unione però fa finta di niente per non incorrere nei ricatti sultano. Con le elezioni in autunno, nemmeno la Merkel può permetters­i di sfidarlo davvero. E così niente riforma del diritto di asilo, qualche accordicch­io per contenere i flussi in arrivo dall’Africa. Ma l’anno prossimo il problema condizione­rà pesantemen­te le urne in Olanda, in Francia e in Germania. E forse anche in Italia. Probabilme­nte Angela Merkel ne uscirà indebolita ma salverà la poltrona. La destabiliz­zazione all’Aja e a Parigi con l’avanzata dell’estrema destra e delle forze xenofobe si annuncia più pesante ma non necessaria­mente vincente in questa tornata.

Un anno elettorale significa rinvio dei problemi e crisi incancreni­te, proprio quando il terrorismo resta una minaccia incalzante, le guerre alle frontiere dall'Ucraina al Medio Oriente all’Africa una spina nel fianco, le pressioni della Russia di Putin onnipresen­ti, la svolta dell’America di Trump una sfida epocale dalle inevitabil­i ricadute europee con più oneri per la difesa e meno aperture per il libero commercio. L’Europa non può continuare a temporeggi­are di fronte a se stessa e al mondo che cambia, pena l’irrilevanz­a. Può suonare incredibil­e, eppure per ora il suo rilevante interesse non riesce ad andare oltre il proprio calendario elettorale.

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