Così gli asset level-3 fanno correre il tasso di rischio bancario
Studio dell’Abi su 94 istituti europei In Italia la quota sul capitale è al 15%, contro il 34% della Germania e il 20% della Francia
Le banche che investono in titoli Level 3, titoli che non hanno un mercato che ne fissi il valore, sono più esposti al rischio default degli istituti concentrati sugli impieghi alla clientela. Uno studio dell’Abi dimostra che un aumento dell’1% delle attività Level 3 aumenta del 2,1% il rischio, mentre per chi che eroga crediti l’1% in più riduce il rischio dello 0,2%.
L’effetto amplificatore del rischio per le banche degli investimenti in titoli Level3 - ossia quei titoli, come molti strumenti derivati, che non hanno un mercato di riferimento che ne stabilisca il valore - è molto più elevato rispetto agli istituti che concentrano gli investimenti in impieghi verso la clientela (imprese e famiglie). Per ogni punto percentuale di aumento delle attività in titoli in Level 3, il tasso di rischio aumenta di 2,1 punti percentuali. Lo stesso incremento negli impieghi verso la clientela ha un effetto addirittura inversamente proporzionale, con una riduzione del rischio di 0,2 punti percentuali. È la conclusione cui arriva un’analisi dell’ufficio studi dell’Abi, nell’ambito della collana Temi di Economia e Finanza, che ha richiesto diversi mesi di lavoro e che è stata resa nota ieri. L’uscita non è casuale e coincide con un momento delicato per le banche italiane, in particolare per Mps, messe alle strette per le esigenze di rafforzamento patrimoniale legate all’esito degli stress test. Test le cui regole sono declinate da Bce e dall’Eba e che sono particolarmente severe, in termini di assorbimento patrimoniale, per le banche che erogano credito a imprese e famiglie e lo sono decisamente meno per chi investe in derivati.
L’analisi dell’Abi, in verità, non è la prima ad arrivare a queste conclusioni. Sin dal caso Enron (2001) era emerso che maggiore è l’esposizione di un’impresa, anche non bancaria, su strumenti il cui valore è affidato a modelli di valutazione interni, e dunque lasciano un relativo margine di discrezionalità, maggiore è il rischio assunto. Uno studio che è stato condotto nel 2015 su 737 banche internazionali proprio prendendo a riferimento gli asset Level 3 è arrivato a conclusioni analoghe. La scelta di Abi è stata quella di focalizzarsi su un panel di 124 banche europee, di cui 94 sottoposte alla vigilanza europea (Ssm). E ancora, l’ufficio studi dell’Associazione bancaria si è avvalso di un indicatore contabile, lo Z score, che prende a riferimento voci di bilancio, per misurare il rischio bancario: più è basso questo indicatore, più è elevata la probabilità di falli- mento dell’impresa. L’indicatore è utilizzato in un modello che prende a riferimento variabili bancarie - attinte dai bilanci delle banche europee nel periodo 2013-2014 - e dati macro relativi, ad esempio, al Pil e al rischio sovrano dei relativi paesi. Lo studio ha dimostrato l’esistenza di una relazione negativa tra l’aumento dei Level3 e dello Z score della singola banca, per cui più aumenta la quota investita negli asset illiquidi più scende lo Z score.
Se a questa evidenza si aggiunge che le banche nordeuropee hanno tradizionalmente una quota più elevata di strumenti illiquidi nei propri bilanci si può immagi- nare, se l’equazione calcolata dall’Abi si rivela ben fondata, dove si concentra il rischio bancario in Europa. Il rapporto tra attività livello 3 e capitale è pari al 20,5 per cento per le banche francesi, al 34,5% per quelle tedesche, al 25,4 per cento per quelle britanniche e al 15,1% per quelle italiane.
«Lo studio vuole essere un contributo al dibattito a livello europeo sugli stress test, in vista anche prossimi appuntamenti per la revisione delle regole di Basilea e delle norme europee sulle banche, tra cui la direttiva Brrd - spiega Gianfranco Torriero, vice direttore generale dell’Abi -. Il modello adottato per gli stress test lascia aperti, come noto, molti dubbi. Il risultato può variare sensibilmente in base al modo in cui viene introdotto un elemento di stress in base a uno scenario. L’auspicio è che si raggiunga un equilibrio diverso nell’ambito dei sistemi di valutazione. La valutazione del rischio è un fattore condizionante nel livello competitivo europeo, perché se viene richiesto un assorbimento patrimoniale maggiore per gli impieghi verso la clientela rispetto a strumenti non liquidi, si pone un vincolo maggiore alla redditività all’istituto che sostiene l’economia e si incentiva l’attività sui derivati, che comunque non deve essere demonizzata perchè ha una funzione importante nel sistema finanziario». Il nostro vuole esser un suggerimento, conclude Torriero, «al regolatore affinchè calcoli in modo approfondito i molteplici effetti che l’assunzione del rischio, e i suoi costi, possono determinare in sistemi ormai molto complessi».
IL SUGGERIMENTO Il vice direttore generale dell’Abi Torriero: il regolatore calcoli in modo approfondito gli effetti che l’assunzione del rischio determina in sistemi complessi