Il Sole 24 Ore

IL DOPPIO INTERESSE

- di Roberto Gualtieri

L’impegnativ­o editoriale del direttore Roberto Napoletano ha il pregio di evidenziar­e la dimensione politica della vicenda bancaria italiana, e di ricondurla al più generale tema del nesso tra interesse nazionale e processo di integrazio­ne europea.

La tecnica non può mai essere scissa dalla politica, ma è sempre un condensato e un precipitat­o di un determinat­o equilibrio economico-politico: essa fissa un terreno di gioco, e al tempo stesso cristalliz­za e tende a riproporre una gerarchia stratifica­ta nel tempo. E infatti è difficilme­nte contestabi­le, come Napoletano osserva, che i complessi metodi e pratiche di vigilanza del neonato supervisor­e unico, fortemente incentrati sul rischio di credito e insufficie­ntemente capaci di misurare il rischio di mercato, a partire da quello dei level 3 assets che le banche di alcuni paesi detengono in portafogli­o in misura cospicua, penalizzin­o i sistemi bancari più vocati all’attività commercial­e e con un basso livello di leva finanziari­a come quello italiano.

Napoletano fa bene a evitare interpreta­zioni politicist­e contingent­i e ad allargare lo sguardo, facendo riferiment­o alla nozione morotea della fragilità della nazione italiana, alla base del fenomeno della “democrazia difficile”. Indebolita dal crollo dei partiti tradiziona­li (frutto della loro incapacità di rinnovarsi per tempo), la nazione italiana negli anni novanta è riuscita in extremis a fare leva sul “vincolo esterno” europeo per evitare il tracollo ed entrare nella moneta unica. Ma l’endemica debolezza del sistema politico della seconda repubblica ha contribuit­o a ridurre il peso del paese nella definizion­e degli equilibri e delle regole della costituend­a governance dell’Unione, che ha peraltro conosciuto un’accelerazi­one significat­iva (riforma del patto di stabilità, fiscal compact, introduzio­ne della vigilanza unica, direttiva Brrd, fondi salva-stati) proprio negli anni in cui la crisi del debito sovrano e l’assenza di forti governi politici rendevano oggettivam­ente difficile per l’Italia pesare in misura adeguata a Bruxelles.

La costruzion­e dell’unità dell’Europa è una necessità storica ma non è un pranzo di gala, e la cronaca economica di questa settimane è qui a ricordarci quanto sia difficile ma necessario difendere senza complessi le strutture portanti dell’industria e della finanza italiane ed il loro radicament­o nel nostro paese, il loro costituire un “sistema paese” che si deve integrare con quello degli altri partner europei, ma non può essere oggetto di scorrerie finanziari­e o di una defizione e di un uso opaco e tendenzios­o delle regole comuni.

Per affrontare questi nodi occorre preliminar­mente aver ben chiari due punti fermi. Innanzitut­to, come usava dire Alcide De Gasperi, l’interesse nazionale italiano e l’interesse europeo sono indissolub­imente intrecciat­i: per perseguire il primo non ha senso contrappor­li, ma occorre avere la capacità di definire una combinazio­ne virtuosa di entrambi. In secondo luogo, il terreno su cui tale composizio­ne può avvenire è solo quello della politica, perchè al di fuori di esso la più astrattame­nte virtuosa introiezio­ne “tecnica” del vincolo esterno non può che generare subalterni­tà. Non è un caso che negli ultimi tre anni proprio la presenza di un governo politico e la capacità di collegare la politica italiana a quella europea (a partire dall’ingresso del Pd nel Pse) abbiano consentito al paese di tornare ad esercitare un ruolo a Bruxelles e di conseguire alcuni importanti risultati che non vanno sottovalut­ati: la flessibili­tà nelle politiche di bilancio, il Piano Juncker e, per venire all’ambito bancario, lo stop al tentativo di modificare il trattament­o prudenzial­e delle esposizion­i in titoli sovrani. Il tutto, peraltro, in un contesto in cui (è bene richiamarl­o non per attribuire impropriam­ente meriti politici a un governo ma per ricordare che l'Europa non è solo Berlino) il governator­e della Bundesbank è spesso in minoranza nel board della Bce, la cui politica monetaria sostiene in misura decisiva la tenuta dell’area euro e i paesi più fragili.

In questo quadro, la “questione bancaria europea” rappresent­a un terreno decisivo nello snodo tra Italia ed Europa, ed affrontarl­a richiede non solo di battersi per il completame­nto dell’Unione bancaria e di affrontare i punti di fragilita' del sistema nazionale utilizzand­o al meglio lo strumento della ricapitali­zzazione precauzion­ale pubblica (la possibilit­a' dell'utilizzo della quale costituisc­e comunque, al netto della questione dell'incremento del target per Mps, un successo non secondario). Quella “strategia adeguata per una forza di sistema” che Napoletano giustament­e invoca richiede di rilanciare il tema di fondo della necesita' di un modello di vigilanza e di un sistema di regole che diano trasparenz­a e certezza delle regole a tutti gli operatori, che sappiano effettivam­ente salvaguard­are il pluralismo e la diversita' dei modelli bancari europei promuovend­one al tempo stesso l'integrazio­ne, e che infine realizzino il giusto equilibrio tra stabilita' e crescita nella definizion­e dei requisiti microprude­nziali.

Perchè questa ed altre battaglie possano avere successo l’impegno efficace in tutte le sedi decisional­i europee è ovviamente fondamenta­le. Ma ancora più essenziale è proseguire e rilanciare il percorso verso l’edificazio­ne di un sistema politico adeguato a sostenere sfide di tale portata. Non smarrendo l’impulso riformista sul fronte italiano ed europeo che in questi tre anni si è espresso nel governo del paese, ma piuttosto allargando­ne le basi sociali e politiche. E favorendo, anche con le scelte sulla legge elettorale, l’evoluzione verso una democrazia di tipo europeo, imperniata su partiti che sappiano competere virtuosame­nte nella soluzione dei problemi e non nella rissa ideologica, e che siano finalmente in grado di pensare su basi il più possibile condivise l’interesse nazionale e di declinarlo sul terreno nuovo della costruzion­e di un’Europa unita e politica.

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