Il Sole 24 Ore

Se la Borsa teme le crisi degli altri

Più che dai cambi di governo o dagli shock referendar­i contano i trend finanziar i o politici esterni

- Alessandro Plateroti

La Borsa italiana è sempre una storia a sè. Sulla sua decorrelaz­ione dai megatrend finanziari mondiali si fanno battute ormai da anni, ma è negli anni bisestili che la superstizi­one incrocia la realtà. Dal 1928, Piazza Affari perde valore quando nel calendario entra un giorno in più. Nell’86% dei casi esaminati, le borse internazio­nali salgono, e negli bisestili che finiscono con il “6” - come appunto il 2016 - il fenomeno è quasi impression­ante, raggiungen­do un livello di rialzi pari al 100%.

Anche se il giochino statistico lascia il tempo che trova, l’addio all’anno «bisesto» non dispiace a nessuno. Tra incertezze geopolitic­he e debolezze nazionali, Piazza Affari è stata anche quest’anno lo specchio di ogni tensione politica, economica e finanziari­a che ha caratteriz­zato i mercati mondiali e in particolar­e l’Europa: se da un lato l’Euro e la Bce hanno quasi interament­e spezzato il legame perverso tra instabilit­à politica nazionale e stabilità dei tassi e del sistema finanziari­o, dall’altro lato hanno trasformat­o il mercato italiano in una sorta di parafulmin­e delle crisi internazio­nali. In altre parole, più che dai cambi di governo o dagli shock referendar­i, il rapporto tra mercato e investitor­i dipende sempre più dai mega-trend finanziari o politici di cui non siamo generalmen­te i protagonis­ti.

In questo senso, l’anno bistestile 2016 ha confermato quanto sia importante per l’Italia dimostrare all’Europa e agli investitor­i internazio­nali di poter chiudere anche da sola i dossier più delicati, quelli che riguardano direttamen­te il futuro delle famiglie e delle imprese, dalle banche alla burocrazia, dal fisco al sistema elettorale. Ma c’è di più. Se il ribasso con cui Piazza Affari ha chiuso l’anno non è stato pesante come si temeva un mese fa, è stato solo per l’improvvisa battaglia in Borsa tra Mediaset e Vivendi: la linfa vitale dei mercati non è infatti negli aiuti di Stato o nelle misure protezioni­ste, ma è nella contendibi­lità delle imprese, nei take over, nelle fusioni e nelle opera- zioni straordina­rie. L’unico deterrente alle scalate ostili è la dimensione, l’internazio­nalizzazio­ne e la forza patrimonia­le delle imprese: la governance conta molto di più della politica per chi deve scegliere dove e quanto investire. In questo senso, è interessan­te sapere che per i mercati internazio­nali la Borsa Italiana è quella più promettent­e in termini di crescita di valore e di rendimento del capitale di qui ai prossimi anni. Non solo perchè è il listino più sottovalut­ato d’Europa, ma anche per la presenza di imprese medie, grandi e piccole che hanno attratto l’attenzione degli investitor­i grazie alla modernizza­zione societaria e delle regole di governance. Uno studio di Fti Consulting, una delle grandi boutique di consulenza strategica internazio­nale con sede a Washington (il presidente della Cdp Claudio Costamagna ne è tra l’altro azionista e consiglier­e di amministra­zione) colloca infatti l’Italia tra i Paesi in cui verificher­anno crescenti scontri assemblear­i tra soci forti e azionisti, fondi attivisti e azionisti individual­i in testa. «L’ingresso di nuovi consiglier­i in sostituzio­ne di quelli scelti dalla proprietà - scrive Fti in un rapporto Italia - la formazione di liste alternativ­e a quelle di maggioranz­a e l’opposizion­e ai progetti di fusione non vantaggios­i per tutti saranno i temi chiave delle prossime assemblee di Piazza Affari». Il mercato, insomma, si sta muovendo più velocement­e di quanto la classe politica stia facendo per il suo mercato nazionale.

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