Se la Borsa teme le crisi degli altri
Più che dai cambi di governo o dagli shock referendari contano i trend finanziar i o politici esterni
La Borsa italiana è sempre una storia a sè. Sulla sua decorrelazione dai megatrend finanziari mondiali si fanno battute ormai da anni, ma è negli anni bisestili che la superstizione incrocia la realtà. Dal 1928, Piazza Affari perde valore quando nel calendario entra un giorno in più. Nell’86% dei casi esaminati, le borse internazionali salgono, e negli bisestili che finiscono con il “6” - come appunto il 2016 - il fenomeno è quasi impressionante, raggiungendo un livello di rialzi pari al 100%.
Anche se il giochino statistico lascia il tempo che trova, l’addio all’anno «bisesto» non dispiace a nessuno. Tra incertezze geopolitiche e debolezze nazionali, Piazza Affari è stata anche quest’anno lo specchio di ogni tensione politica, economica e finanziaria che ha caratterizzato i mercati mondiali e in particolare l’Europa: se da un lato l’Euro e la Bce hanno quasi interamente spezzato il legame perverso tra instabilità politica nazionale e stabilità dei tassi e del sistema finanziario, dall’altro lato hanno trasformato il mercato italiano in una sorta di parafulmine delle crisi internazionali. In altre parole, più che dai cambi di governo o dagli shock referendari, il rapporto tra mercato e investitori dipende sempre più dai mega-trend finanziari o politici di cui non siamo generalmente i protagonisti.
In questo senso, l’anno bistestile 2016 ha confermato quanto sia importante per l’Italia dimostrare all’Europa e agli investitori internazionali di poter chiudere anche da sola i dossier più delicati, quelli che riguardano direttamente il futuro delle famiglie e delle imprese, dalle banche alla burocrazia, dal fisco al sistema elettorale. Ma c’è di più. Se il ribasso con cui Piazza Affari ha chiuso l’anno non è stato pesante come si temeva un mese fa, è stato solo per l’improvvisa battaglia in Borsa tra Mediaset e Vivendi: la linfa vitale dei mercati non è infatti negli aiuti di Stato o nelle misure protezioniste, ma è nella contendibilità delle imprese, nei take over, nelle fusioni e nelle opera- zioni straordinarie. L’unico deterrente alle scalate ostili è la dimensione, l’internazionalizzazione e la forza patrimoniale delle imprese: la governance conta molto di più della politica per chi deve scegliere dove e quanto investire. In questo senso, è interessante sapere che per i mercati internazionali la Borsa Italiana è quella più promettente in termini di crescita di valore e di rendimento del capitale di qui ai prossimi anni. Non solo perchè è il listino più sottovalutato d’Europa, ma anche per la presenza di imprese medie, grandi e piccole che hanno attratto l’attenzione degli investitori grazie alla modernizzazione societaria e delle regole di governance. Uno studio di Fti Consulting, una delle grandi boutique di consulenza strategica internazionale con sede a Washington (il presidente della Cdp Claudio Costamagna ne è tra l’altro azionista e consigliere di amministrazione) colloca infatti l’Italia tra i Paesi in cui verificheranno crescenti scontri assembleari tra soci forti e azionisti, fondi attivisti e azionisti individuali in testa. «L’ingresso di nuovi consiglieri in sostituzione di quelli scelti dalla proprietà - scrive Fti in un rapporto Italia - la formazione di liste alternative a quelle di maggioranza e l’opposizione ai progetti di fusione non vantaggiosi per tutti saranno i temi chiave delle prossime assemblee di Piazza Affari». Il mercato, insomma, si sta muovendo più velocemente di quanto la classe politica stia facendo per il suo mercato nazionale.