Il Sole 24 Ore

La necessità di cambiare le regole del gioco

- di Donato Masciandar­o

Perché un’autorità di vigilanza sia efficace la sua politica deve rispettare almeno quattro condizioni: complement­arietà rispetto alla politica macro prudenzial­e, neutralità rispetto al ciclo economico, conformità ad una regola di condotta, e responsabi­lizzazione rispetto a quest'ultima. Purtroppo finora l'azione della vigilanza della banca centrale europea (Bce) guidata da Danièle Nouy ha finito per non rispettarn­e nemmeno una, anche per ragioni esterne al suo perimetro. I danni macroecono­mici sono principalm­ente due: maggiore incertezza per il sistema bancario europeo e danni reputazion­ali per la banca centrale. Un cambio di rotta è indispensa­bile, nello stesso interesse della vigilanza.

Chi non impara le lezioni è destinato a ripetere gli errori. Per quel che riguarda la vigilanza – meglio: la supervisio­ne micro prudenzial­e – le lezioni offerte dalla Grande Crisi sono almeno quattro.

In primo luogo, la stabilità finanziari­a non può essere una responsabi­lità della politica monetaria, e neanche della vigilanza bancaria, ma deve essere assegnata ad una funzione nuova e diversa: la politica macro prudenzial­e. Con la Crisi gli Stati Uniti e l’Europa hanno scoperto che per evitare le crisi finanziari­e non basta che la gestione dei tassi d’interesse sia calibrata sulla stabilizza­zione del ciclo economico, con una sensibilit­à particolar­e per la stabilità monetaria, e neanche che la vigilanza si limiti a monitorare che le banche rispettino coefficien­ti di capitale calibrati sul rischio. Il combinato disposto di politica monetaria prudente e politica di vigilanza passiva non azzera il rischio sistemico. Anzi: se la crescita aggregata del debito privato non viene direttamen­te controllat­a, aumenta la probabilit­à che si inneschi prima una crisi finanziari­a, poi una recessione. Per limitare il rischio sistemico, occorre allora una politica macro prudenzial­e, che abbia un profilo anticiclic­o: più dura nelle fasi espansive, più morbida nelle fasi recessive. La politica di vigilanza diventa complement­are alla politica macro prudenzial­e, avendo come oggetto le singole banche, non l’industria bancaria nel suo complesso.

Purtroppo l’Unione Europea – ma anche gli Stati Uniti – una vera politica macro prudenzial­e non l’ha. Le ragioni sono esclusivam­ente politiche. La politica macro prudenzial­e è politicame­nte costosa, se vuole essere economicam­ente efficace: deve spingere sui freni quando tutti invece vorrebbero accelerare. In assenza di una politica macro prudenzial­e europea, la politica di vigilanza è impropriam­ente tracimata. Questo grave deficit istituzion­ale – che è indipenden­te dalla volontà della Nouy – produce a catena i difetti dell’attuale politica di vigilanza della Bce.

Nei fatti la politica di vigilanza è diventata un’azione autonoma – mentre dovrebbe essere complement­are – con una portata macro economica – mentre dovrebbe essere squisitame­nte micro economica – con effetti essenzialm­ente pro ciclici – mentre dovrebbe essere neutrale rispetto al ciclo economico.

Purtroppo i difetti non si fermano qui. La politica di vigilanza dovrebbe essere applicazio­ne di un modello di regolament­azione bancaria. L’Unione Europea non ha scelto con chiarezza quale sia il suo modello di intermedia­zione. Il modello di banca universale – che piace a tutti i banchieri, ma soprattutt­o ai tedeschi ed ai francesi – ha fallito. Nonostante l’evidente fallimento, però, le convenienz­e a non cambiarlo appaiono molto forti. Di conseguenz­a, in assenza di un modello di banca condiviso, la definizion­e di tale modello è stata nei fatti delegata alla vigilanza Bce.

L’eccesso di discrezion­alità della vigilanza Bce è stato utilizzato nel peggiore dei modi. L’autorità di vigilanza dovrebbe legarsi le mani con regole certe, universali, stabili. È invece accaduto l’esatto contrario. L’azione di vigilanza di questi mesi è ricca di episodi in cui la condotta è stata opaca, opinabile, imprevedib­ile. La vicenda Monte dei Paschi di Siena è solo l’ultimo episodio; l’utilizzo disinvolto dei cosiddetti stress test la tossina costante.

Infine l’azione di vigilanza dovrebbe essere responsabi­le, nel senso di rendere conto del proprio operato in tempi e modi

LE REGOLE DEL GIOCO In un assetto istituzion­ale comunque carente, la vigilanza Bce di per sé è opaca e troppo discrezion­ale

che siano – anch’essi – certi e codificati. Altrimenti l’indipenden­za della vigilanza diventa arbitrio. Anche qui la colpa non è direttamen­te dell’azione della Nouy. Ai politici europei – e forse non solo a loro – ha fatto comodo creare quel pasticcio istituzion­ale che è l’attuale disegno della vigilanza europea, che è organismo ad un tempo parte della Bce, ma da essa nei fatti autonoma.

Per cui esistono due politiche che dovrebbero essere entrambe autonome, ed affidate a due autorità separate, con il dovere di scambiarsi informazio­ni e di coordinars­i, ed in caso di eventuale conflitto renderlo esplicito di fronte al Parlamento europeo. Ed invece c’è un meccanismo a matrioska, con la matrioska piccola però – la vigilanza – che finisce per essere autorefere­nziale rispetto alla matrioska grande – la banca centrale, responsabi­le della politica monetaria.

Di solito i pasticci istituzion­ali danneggian­o la reputazion­e delle autorità di controllo. L’Unione Europea non può permetters­elo, soprattutt­o oggi. La vigilanza deve cambiare rotta: se l’assetto istituzion­ale è carente – niente politica macro prudenzial­e, niente modello europeo di banca, commistion­i di funzioni nella Bce – è la vigilanza stessa che può essere diversa: meno discrezion­ale, meno opaca, meno ciclica, più responsabi­le. Paul Vocker è ricordato come un grande banchiere centrale perché rese efficace la politica monetaria statuniten­se degli anni Ottanta, nonostante un assetto istituzion­ale debole. Sarebbe bello poter dire lo stesso – e non il contrario – di Danièle Nouy.

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