Npl, la «marea» non sale più ma il mercato stenta a partire
In Italia stock in calo e coperture (46%) superiori alla media europea
Difficile ignorare il problema, e le sue dimensioni. Ma è altrettanto impossibile non notare che la marea dei crediti deteriorati in Italia ha smesso di alzarsi da un po’. Seguendo la stessa corrente che si registra nel resto d’Europa.
I numeri sono sgocciolati mese per mese da Banca d’Italia e Abi, secondo le quali a fine ottobre le sofferenze nette hanno toccato gli 85,47 miliardi (dagli 85,16 di settembre). Ma a dicembre è arrivata da Londra anche la conferma dell’Eba, con il suo ultimo risk assessment del sistema bancario europeo: il totale delle sofferenze lorde delle principali 15 banche italiane al 30 giugno scorso è sceso da 281,3 a 276,6 miliardi, per un’incidenza sul totale del portafoglio crediti in discesa dal 16,8 al 16,4%; il miglioramento c’è, dunque, anche se la media europea calcolata dall’Eba (non limitata all’area euro) rimane lontana anni luce: 5,4% al 30 giugno, 30 punti base in meno di fine dicembre 2015.
Ma se si tiene conto degli accantonamenti (128,2 miliardi al 30 giugno), il divario si assottiglia: le sofferenze italiane, infatti, sono coperte al 46,3%, un dato in crescita rispetto al 2015 (45,4%) ma soprattutto superiore alla media europea, pari al 43,8 per cento. La fotografia scattata dall’Eba conta 148,3 miliardi di sofferenze nette, in discesa dai 153,4 miliardi del 2015, per un'incidenza totale che scende così dal 9,18% all’8,81%; in questo caso la media europea è pressoché stazionaria intorno ai 3 punti percentuali.
D’altronde, dall’ultima indagine annuale sulle principali banche aventi sede in Europa dell’Ufficio studi di Mediobanca emerge che il costo del rischio, dopo essere schizzato a 245,4 punti nel 2013 oggi è planato a quota 69,4 punti base, molto più vicino alla media europea (41,3) e inferiore a quello delle banche spagnole (112,7). Quanto basta, evidentemente, a dimostrare che in Italia le banche non hanno lesinato nel rinforzare le coperture, e che il problema delle sofferenze, pur nella sua gravità e urgenza (se non altro perché soffoca la redditività e penalizza la tenuta del settore), non è fuori controllo. Una realtà di cui la Vigilanza dovrebbe tener conto, come ha sottolineato ieri Il Sole 24 Ore: accanirsi su un paziente in convalescenza non può che peggiorare la situazione.
Piuttosto, il problema è che, arginato il “bubbone”, non si è però ancora trovata la medicina per debellarlo. E questo è l’aspetto più preoccupante della vicenda: in Italia, come ha ravvisato il ministro Padoan al forum de Il Sole, le banche faticano a smaltire il carico di sofferenze perché quello degli Npl è uno «pseudo-mercato che non esiste». In realtà, il mercato ci sarebbe. Ma a prezzi che le banche ritengono tutt’ora troppo strac- ciati, e infatti lontani dai valori a cui spesso i crediti deteriorati figurano nei loro bilanci.
Nel suo ultimo studio dedicato al mercato italiano degli Npl, PwC ha fatto notare che tra il 2012 e il 2015 il volume complessivo delle transazioni (per valori lordi) è più che quadruplicato, sfiorando quota 20 miliardi. Il 2016 avrebbe potuto raddoppiare la posta con 43 miliardi, ma si teneva conto della maxi-cartolarizzazione da 28 miliardi del Monte dei Paschi, che alla fine è saltata con l’operazione di mercato. Dunque l’anno che si chiude oggi segnerà una preoccupante inversione di tendenza rispetto al 2015. E pensare che in pipeline, cioè in via di cessione, ci sono 50 miliardi di Npl lordi, ha calcolato pochi giorni fa Prelios: mai così tanti, per l’Italia. Chissà se finalmente il 2017, dopo le attese - frustrate - degli anni passati, sarà il momento della svolta.