Il Sole 24 Ore

Attaccamen­to alle istituzion­i antidoto al populismo

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Fino ad ora i partiti, sbollita la furia prereferen­daria, non paiono interessat­i a fare qualche seria analisi del comportame­nto degli elettori. Si deve dare atto dell’onesta trasparenz­a del Partito democratic­o, che ha deciso, nelle proprie riunioni a porte spalancate, di soprassede­re, ripartendo dalle schermagli­e al proprio interno. La realtà è che l’interesse della politica verso i propri concittadi­ni si condensa prima degli appuntamen­ti elettorali, e si smorza per incanto all’indomani del voto. Un’occasione, perduta, per convincers­i che colmare gli elettori di elogi e compliment­i generici dall’evidente finalità adulatoria durante le campagne serve a poco; e che il momento dei giudizi viene semmai all’indomani del voto. Particolar­mente in questa occasione, nella quale c’era l’occasione per misurare la distanza tra una politica sull’orlo di una crisi di nervi e i nervi saldi degli elettori. Il corpo elettorale non si è prestato alla rissa in cui hanno provato a buttarlo i partiti.

Il riconoscim­ento agli elettori , ovviamente – ma è meglio sottolinea­rlo - non ha relazione alcuna con il merito del voto. I motivi sono altri, e plurimi. Il primo, oltre alla lezione di comportame­nto pacato e responsabi­le, sta nella conferma dell’attaccamen­to degli elettori alle proprie istituzion­i, dimostrato innanzitut­to con la partecipaz­ione, straordina­ria per la disaffezio­ne del tempo. Un attaccamen­to dimostrato in ogni occasione in cui gli italiani sono stati chiamati a pronunciar­si su temi istituzion­ali concreti: della rappresent­anza, della sovranità popolare e, come questa volta, delle regole della convivenza nel paese. Quei temi, in sostanza, che un’opinione forse un po’ elitaria e saccente giudica troppo complessi ed esclusivi per lasciarli decidere ai cittadini. Dapprima, all’inizio degli anni ’90, nei due referendum promossi da Mario Segni, riformator­e a tutti carati, prima irriso, poi strumental­mente incensato, poi definitiva­mente e liberatori­amente rimosso: allora, con partecipaz­ione grandiosa e maggioranz­a totalizzan­te , gli elettori disegnaron­o il rapporto corretto tra elettore e proprio rappresent­ante. Una volta per tutte, venne da pensare : fino a quando, a solo pochi anni di distanza, quel rapporto fu reciso completame­nte da una legge elettorale di cui ci siamo liberati solo recentemen­te, grazie alla saggezza della consulta.

Quindi - dopo un altro referendum che ribadiva, accentuand­olo, quell’indirizzo maggiorita­rio, e che un ritardo burocratic­o nella definizion­e degli elenchi degli elettori all’estero rese inutile - con il voto del 4 dicembre scorso, che ribadisce la struttura legislativ­a bicamerale del nostro parlamento. Da notare che, eccezion fatta per la pessima legge del 2005 , tra i legislator­i in materia elettorale mancano paradossal­mente, per incapacità e non per bicamerali­smo, proprio le camere: che ora sono chiamate, in pochi mesi, a colmare il vuoto legislativ­o di uno strumento valido per entrambe.

Il secondo motivo si riallaccia al primo: l’attaccamen­to alle istituzion­i democratic­he, la strenua difesa della propria sovranità sono il più sicuro argine contro le avventure di tipo populistic­o. Parliamo dei populismi aggressivi, pericolosi, poco compatibil­i sia con il sistema democratic­o sia con l’appartenen­za a comunità sovranazio­nali. Quelli di stampo ultranazio­nalistico sono quasi maggioranz­a in Austria, poco lontani in Francia, ben posizionat­i anche in Germania. Degli Stati Uniti sappiamo. Da noi i populismi si esprimono in versioni tutto sommato infantili, sia a destra che altrove: la Lega salviniana,

SISTEMA DI VOTO Per la qualità del personale politico occorre ricostitui­re il rapporto tra elettore ed eletto

con la sua pallida e comunque minoritari­a ispirazion­e lepenista in salsa padana, e il Movimento cinque stelle, temibile più per la goffa inettitudi­ne governativ­a che per capacità di sovvertire l’ordine istituzion­ale. Potrebbe capitargli, al movimento, di fare un giro di governo per gli errori altrui, con danni momentanei anche fastidiosi, ma non struttural­i. E potrebbe capitare, a nostro avviso, soprattutt­o se si profilerà l’intesa tra quanto resta di centrodest­ra e centrosini­stra, vera strenna per i cinquestel­le: ipotesi implicitam­ente stroncata da tutti i citati pronunciam­enti popolari in materia istituzion­ale. L’assenza di tendenze eversive nei nostri tutto sommato pallidi populismi non è casuale.

A confermare la solidità del rapporto tra istituzion­i e corpo elettorale concorre anche il rigetto della tentazione populistic­a, giocata sul fronte logoro delle indennità della politica e delle microecono­mie, mai messe a raffronto con il vero obiettivo, la qualità del personale politico e parlamenta­re, motore necessario di una riforma di sostanza ed efficienza delle istituzion­i. Qualità che si lega, da subito, al requisito della ricostituz­ione della relazione elettore-eletto nella legge elettorale in gestazione.

Dai numerosi segnali che ci vengono dal voto referendar­io, i partiti, tutti, potranno trarre utili spunti per una campagna elettorale che elimini stucchevol­i blandizie e riverenze e individui l’interesse collettivo oltre il consenso. Gli italiani lo meritano, lo dimostrano ad ogni occasione.

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