Patent box, la fusione non è elusiva
L’amministrazione può verificare la corretta determinazione del rapporto tra costi qualificati e complessivi
Il vantaggio tributario ai fini del regime di Patent box derivante da una fusione non è indebito e, quindi, l’operazione non è elusiva. In risposta a un interpello presentato in base all’articolo 11, comma 1, lettera c), della legge 212/2000, l’agenzia delle Entrate analizza il caso di una fusione tra due soggetti appartenenti allo stesso gruppo a seguito della quale si ottiene un miglioramento del cosiddetto nexus ratio, pervenendo alla conclusione di non abusività di tale operazione.
La fattispecie oggetto di interpello è quella di una fusione tra un soggetto Alfa e un soggetto Beta che possiede alcuni beni immateriali (brevetti) che, prima dell’operazione, vengono concessi in licenza ad Alfa determinando per quest’ultimo una penalizzazione nel calcolo del rapporto tra costi qualificati e costi complessivi ( nexus ratio) a motivo dell’inserimento al denominatore delle royalties in misura integrale e al numeratore in misura parziale. Infatti, detto rapporto è costituito: e al numeratore, da tutti i costi «qualificati», direttamente connessi al bene immateriale sostenuti per attività di ricerca e sviluppo, incrementato dei costi di acquisizione/licenza dei beni immateriali e per ricerca infragruppo nel limite del 30% dei costi «qualificati» ( up-lift); ra l denominatore, dai costi complessivi pari ai costi «qualificati» ai quali sommare, in misura integrale, i costi di acquisizionelicenza dei beni immateriali e di ricerca infragruppo. In sostanza, in presenza di costi di acquisizione-licenza e di costi infragruppo il ratio può risultare inferiore a 1.
Dalla fusione tra i due soggetti deriva un vantaggio fiscale conseguente al diverso computo del nexus ratio; l’operazione, infatti, fa venir meno l’esistenza dei costi di licenza in capo al soggetto incorporante in relazione ai beni immateriali concessi da Beta, annullando così l’effetto negativo sul calcolo del ratio di Alfa.
L’agenzia delle Entrate, in conformità a quanto prospettato dal contribuente, perviene alla conclusione che, limitatamente ai fatti descritti, l’operazione di fusione non presenta profili di abuso. Infatti, il vantaggio che ne deriva è la conseguenza fisiologica dell’operazione straordinaria del tutto lecita dal punto di vista civilistico e che risponde alla sua funzione tipica. Peraltro, gli effetti della fusione, in termini di miglioramento del nexus ratio, derivano dalla mera applicazione alla fattispecie concreta dell’articolo 5 del decreto di attuazione del regime Patent box del 30 luglio 2015 in base al quale «in caso di operazioni di fusione, scissione e conferimento di azienda, il soggetto avente causa subentra nell’esercizio dell’opzione effettuato dal dante causa, anche in relazione al sostenimento dei costi di cui all’articolo 9».
Nessun vantaggio i ndebito può quindi essere riscontrato nell’operazione prospettata in quanto il disegno di riorganizzazione non contrasta la ratio di alcuna norma o principio dell’ordinamento.
Si osserva che in riferimento all’applicazione del citato articolo 5 del decreto di attuazione, l’Agenzia, nella circolare 11/ E/2016, ha precisato che le operazioni di fusione, scissione e conferimento di azienda devono essere riferibili alle sole compenetrazioni di vere aziende, dotate ciascuna di una propria struttura, comprensiva di uno o più beni immateriali, e rivolte all’esercizio dell’attività di ricerca e sviluppo. In considerazione di tale chiarimento, l’agenzia delle Entrate, in risposta all’interpello, ha verificato, sulla base della documentazione pervenuta, che il soggetto incorporato rispettasse tali condizioni affinché l’operazione rientrasse a pieno titolo nell’ambito dell’articolo 5 del decreto.
Resta fermo che il parere delle Entrate non si estende alla valutazione della corretta determinazione del coefficiente nexus ratio che potrà costituire oggetto di verifica in sede di controllo da parte dell’amministrazione finanziaria.