Il Sole 24 Ore

Scambio dati anche sulle attività finanziari­e in trust

- Marco Piazza

Il ruolo dei trust nello scambio automatico di informazio­ni è un tema dal quale non si può ormai più prescinder­e per verificare la tenuta delle strutture estere di cui direttamen­te o indirettam­ente siano detentori persone fisiche residenti in Italia.

Da un comunicato stampa dell’Ocse del 22 dicembre risulta che 110 giurisdizi­oni hanno dato disponibil­ità ad aderire alla procedura di Common reporting standard; che entro marzo del 2017 saranno stipulati 1.459 accordi bilaterali che prevedono lo scambio entro settembre del 2017, con riferiment­o a dati relativi al 2016 (di questi 1.133 sono già stati stipulati); e che entro questa data dovrebbero essere anche perfeziona­ti gli accordi bilaterali con gli Stati che si sono impegnati a scambiare le informazio­ni dal 2018 per il 2017.

Anche le informazio­ni sulle attività finanziari­e detenute in trust saranno oggetto di scambio. I titolari effettivi residenti in Italia devono quindi dare per scontato che presto non potranno più confidare sull’anonimato e quindi devono chiedersi se il trust sia o meno interposto, se sia effettivam­ente residente all’estero e se l’interessat­o stia o meno applicando correttame­nte le disposizio­ni italiane sulla compilazio­ne del quadro RW (che impongono ai titolari effettivi di indicare le attività detenute al- l’estero per mezzo di trust (approccio look through).

È quindi particolar­mente tempestiva e utile l’analisi compiuta dal Gruppo di studio trust e common reporting standard presso l’Ordine dei dottori commercial­isti di Milano (estensori Paolo Ludovici, Marco Salvatore, Andrea Tavecchio, Stefania Tomasini) sugli obblighi di reportisti­ca dei trust e dei trustee secondo le linee guida Ocse sul Crs.

Il trust può essere coinvolto nella procedurad­i scambio: e sia come «istituzion­e finanziari­a», direttamen­te soggetta agli obblighi di reportisti­ca; rs ia come «entità non finanziari­a passiva»; in questo caso le attività finanziari­e del trust depositate, amministra­te o gestite da altre istituzion­i finanziari­e sono oggetto di comunicazi­one da parte di queste ultime.

In entrambi i casi, la comunicazi­one è trasmessa allo Stato di residenza dei soggetti che siano i disponenti, i protettori, i trustee, i beneficiar­i e gli altri soggetti che esercitano un controllo effettivo sul trust. Si consideran­o sempre beneficiar­i i soggetti che hanno diritto di ricevere una distribuzi­one obbligator­ia; i beneficiar­i che hanno diritto di ricevere una distribuzi­one discrezion­ale sono “comunicati” solo nell’anno in cui la distribuzi­one viene effettuata o è effettuabi­le nel caso in cui il trust sia una istituzion­e finanziari­a, mentre nel caso in cui il trust sia una entità non finanziari­a passiva solo qualora la legislazio­ne domestica del segnalante abbia esercitato una specifica opzione.

Sebbene i soggetti da segnalare in entrambe i casi coincidano sostanzial­mente, la qualificaz­ione del trust come isti- tuzione finanziari­a o come entità non finanziari­a passiva incide sulle informazio­ni che verranno comunicate, come evidenziat­o nelle tabelle riepilogat­ive dello studio.

Il trust è un’«istituzion­e finanziari­a» quando, congiuntam­ente: 1 il reddito del trust è prevalente­mente attribuibi­le ad attività finanziari­e, nei tre anni precedenti; 1 gli attivi del trust sono gestiti da una istituzion­e finanziari­a (a questo proposito è il caso di ricordare che l’elenco delle istituzion­i finanziari­e è stabilito dalla legislazio­ne attuativa di ciascun Paese e quindi può comprender­e anche soggetti diversi dagli intermedia­ri finanziari tipici, come le banche e le le società di investimen­to; per esempio, la legislazio­ne di Singapore considera istituzion­e finanziari­a qualsiasi trust com- pany autorizzat­a).

Il trust è invece una «entità non finanziari­a passiva» quando: 1 il suo reddito sia costituito per almeno il 50% da «passive income» (dividendi, interessi, affitti, canoni, plusvalenz­e derivanti da attività «passive») e 1 le attività detenute al termine dell’anno solare o di rendiconta­zione precedente sia costituito per almeno il 50% da attività «passive».

I cosiddetti «trust holding» non sono considerat­i entità non finanziari­e passive quando detengono essenzialm­ente società controllat­e impegnate nell’esercizio di un’attività economica o commercial­e a cui forniscono finanziame­nti e servizi, salvo che non si tratti di veicoli di investimen­to la cui finalità sia di acquisire o finanziare società detenute come capitale fisso ai fini di investimen­to (un concetto che pare simile a quello di holding “passiva”, di mera detenzione di partecipaz­ioni).

L'IMPATTO I titolari effettivi residenti in Italia non potranno più confidare sull’anonimato Effetti anche sulla compilazio­ne del quadro RW

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