La spesa-pensioni resta sotto controllo
Le riforme limitano il gap-invecchiamento
Se l’Italia non avesse il debito pubblico che ha, nel lungo termine la tenuta dei suoi saldi sarebbe assicurata a fronte del previsto impatto demografico. Da qui al 2050 la popolazione raggiungerà i 67 milioni, mentre l’old-age dependency ratio, numero di ultra 65enni rapportato al numero di persone in età da lavoro tra i 15 e i 64 anni, passerebbe dall’attuale 33% al 53%.
La pressione sulla spesa pubblica di questo invecchiamento della popolazione è contenuta grazie in particolare alle riforme pensionistiche adottate dal 2004 al 2011. La spesa pubblica legata all’invecchiamento dovrebbe infatti crescere solo di tre decimali di Pil nel prossimo trentennio, mentre in altri paesi di riferimento il salto sarebbe in media del 3,7%. In pratica la pressione sulla spesa legata all’invecchiamento risulta quasi neutralizzata, dopo il picco previsto nel 2040 attorno al 25,2%. E la più bassa crescita della spesa previdenziale riuscirebbe a compensare l’inevitabile maggiore spesa in sanità o in cure per i non autosufficienti.
È quanto prevede in un rapporto diffuso ieri Standard&Poor’s (il cui rating è BBB- per il nostro Paese). Le riforme pensionistiche hanno mitigato l’impatto sulla spesa, rileva S&P’s, ciò nonostante «le prospettive di finanza pubblica dell’Italia restano difficili, date le deboli previsioni di crescita economica nel breve termine e l’assenza di una risolutiva riduzione del deficit e del debito» ha affermato l’analista Marko Mrsnik.
Le proiezioni dell’agenzia, che ha condotto l’analisi sul sistema pensionistico italiano nell’ambito di una survey che riguarda 58 paesi, si basano su cinque diversi scenari, a partire da un’ipotesi di politiche invariate che vedrebbe crescere il debito/ Pil fino al 138%, nel periodo di previsione, inchiodando il nostro rating alla tripla B. In uno scenario legato al conseguimento del pareggio di bilancio a partire dal 2019, con un debito/Pil di conseguenza in costante calo fino al 40% del 2050, l’ipotetico rating sovrano salirebbe alla doppia a minuscola.
Al di là delle proiezioni S&P’s riconosce i n termini molto espliciti gli «incoraggianti progressi» effettuati sul fronte della sostenibilità della spesa legata all’invecchiamento e alle pensioni. Ma mette in guardia sui rischi che incombono sul nostro sistema, a partire dalla debolezza di un mercato del lavoro caratterizzato da uno dei più bassi tassi di partecipazione d’Europa.
La popolazione in età da lavoro nel trentennio considerato scenderebbe dal 64,8% attuale al 56,6%. E a pesare sugli scenari di lungo termine ci sono anche le emigrazioni di giovani italiani che continuerebbero a lasciare il Paese per trovare impiego all’estero. Se non saranno contenute il loro effetto sarà un ulteriore appesantimento del costo della spesa sociale legata all’invecchiamento sulla finanza pubblica, per non parlare delle conseguenze che questa perdita di capitale umano avrebbe sul Pil potenziale.