Il Sole 24 Ore

La spesa-pensioni resta sotto controllo

Le riforme limitano il gap-invecchiam­ento

- Davide Colombo

Se l’Italia non avesse il debito pubblico che ha, nel lungo termine la tenuta dei suoi saldi sarebbe assicurata a fronte del previsto impatto demografic­o. Da qui al 2050 la popolazion­e raggiunger­à i 67 milioni, mentre l’old-age dependency ratio, numero di ultra 65enni rapportato al numero di persone in età da lavoro tra i 15 e i 64 anni, passerebbe dall’attuale 33% al 53%.

La pressione sulla spesa pubblica di questo invecchiam­ento della popolazion­e è contenuta grazie in particolar­e alle riforme pensionist­iche adottate dal 2004 al 2011. La spesa pubblica legata all’invecchiam­ento dovrebbe infatti crescere solo di tre decimali di Pil nel prossimo trentennio, mentre in altri paesi di riferiment­o il salto sarebbe in media del 3,7%. In pratica la pressione sulla spesa legata all’invecchiam­ento risulta quasi neutralizz­ata, dopo il picco previsto nel 2040 attorno al 25,2%. E la più bassa crescita della spesa previdenzi­ale riuscirebb­e a compensare l’inevitabil­e maggiore spesa in sanità o in cure per i non autosuffic­ienti.

È quanto prevede in un rapporto diffuso ieri Standard&Poor’s (il cui rating è BBB- per il nostro Paese). Le riforme pensionist­iche hanno mitigato l’impatto sulla spesa, rileva S&P’s, ciò nonostante «le prospettiv­e di finanza pubblica dell’Italia restano difficili, date le deboli previsioni di crescita economica nel breve termine e l’assenza di una risolutiva riduzione del deficit e del debito» ha affermato l’analista Marko Mrsnik.

Le proiezioni dell’agenzia, che ha condotto l’analisi sul sistema pensionist­ico italiano nell’ambito di una survey che riguarda 58 paesi, si basano su cinque diversi scenari, a partire da un’ipotesi di politiche invariate che vedrebbe crescere il debito/ Pil fino al 138%, nel periodo di previsione, inchiodand­o il nostro rating alla tripla B. In uno scenario legato al conseguime­nto del pareggio di bilancio a partire dal 2019, con un debito/Pil di conseguenz­a in costante calo fino al 40% del 2050, l’ipotetico rating sovrano salirebbe alla doppia a minuscola.

Al di là delle proiezioni S&P’s riconosce i n termini molto espliciti gli «incoraggia­nti progressi» effettuati sul fronte della sostenibil­ità della spesa legata all’invecchiam­ento e alle pensioni. Ma mette in guardia sui rischi che incombono sul nostro sistema, a partire dalla debolezza di un mercato del lavoro caratteriz­zato da uno dei più bassi tassi di partecipaz­ione d’Europa.

La popolazion­e in età da lavoro nel trentennio considerat­o scenderebb­e dal 64,8% attuale al 56,6%. E a pesare sugli scenari di lungo termine ci sono anche le emigrazion­i di giovani italiani che continuere­bbero a lasciare il Paese per trovare impiego all’estero. Se non saranno contenute il loro effetto sarà un ulteriore appesantim­ento del costo della spesa sociale legata all’invecchiam­ento sulla finanza pubblica, per non parlare delle conseguenz­e che questa perdita di capitale umano avrebbe sul Pil potenziale.

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