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India, Indonesia Corea del Sud e Taiwan restano attraenti grazie agli stimoli fiscali e all’impulso dell’export
Asia emergente da rivalutare dopo lo scontro Trump-Cina
di Laura Magna
Il braccio di ferro tra il presidente eletto degli Usa Donald Trump e la Cina sul drone sottomarino sequestrato da Pechino nel Mare cinese meridionale ha rinfocolato le tensioni in quel contrastato tratto di oceano e rifocalizzato l’attenzione sull’area Asia-Pacifico. Sono in molti a vedere le elezioni di Trump non solo come una minaccia all’equilibrio geopolitico internazionale, ma anche a quello commerciale, con possibili ripercussioni sulle Borse asiatiche.
Cauta sul fronte globale è Russell Investments che vede nella nuova fase di protezionismo commerciale inaugurata da Brexit e dall’elezione di Trump un pericolo per crescita e inflazione. Andrew Pease, global head dell’investment strategy di Russell Investments, ritiene che le aspettative di una politica di stimoli da parte di Trump potrebbero portare a un periodo esteso di acquisti eccessivi, mentre i profitti corporate non cresceranno di molto e i margini potrebbero sentire la pressione di un aumento del costo del lavoro e un dollaro più forte. In questo scenario, l’area Asia-Pacifico resta comunque inte- ressante perché prometterebbe una crescita almeno pari a quella del 2016 (4,75%) e un mercato azionario con un «valore moderatamente buono» e prezzi ai livelli del 2015. A metà novembre i titoli dell’indice Msci All Country Asia Pacific avevano un p/e (prezzo/utile) di 13.4; un rapporto price to book (prezzo/valore di libro) di 1,3 e un dividend yield (rendimento/prezzo) del 2,8 per cento.
«Nonostante l’incertezza politica derivante da Brexit e dalle elezioni presidenziali americane, siamo cautamente ottimisti per il 2017», conferma Geoff Lewis, senior Asia strategist di Manulife Asset Management. «In particolare crediamo che ci siano significative opportunità in Asia per gli investitori. La regione non è stata immune dalle difficoltà affrontate dall’economia globale, ma resta il mercato emergente di maggiore qualità nel mondo». Secondo Maulife l’Asia (ex Giappone) andrà meglio degli Stati Uniti, Europa e America Latina, grazie a una crescita del 6% del prodotto interno lordo nel 2017. D’accordo è Credit Suisse che ritiene che negli ultimi dieci anni i mercati emergenti in generale e l’Asia in particolare, si sono evoluti fino a diventare più resistenti agli sviluppi internazionali, quali l’attuale incertezza politica in Europa o i piani di Trump di rivoluzionare gli equilibri commerciali.
Sono in molti a credere che il 2017 sarà il giro di boa per l’azionario asiatico (si veda l’altro articolo nella pagina). Se gli investimenti negli ultimi anni non hanno dato grandi soddi- sfazioni, la situazione potrebbe migliorare l’anno prossimo grazie a un migliorato ambiente economico e politiche di sostegno monetarie e fiscali. In particolare, rispetto a quest’anno, il 2017 potrebbe vedere una stabilizzazione dei flussi di capitale, tassi di scambio e spread lungo tutta l’area, creando un migliore ambiente macroeconomico per le azioni. Secondo Manulife, opportunità potrebbero venire dall’azionario cinese grazie a un miglioramento nel panorama dell’investimento privato e a recenti dati positivi sul fronte del Ppi. Buon outlook anche per Corea del Sud e Taiwan per via degli stimoli fiscali e un aumento delle attività con gli Stati Uniti.
Particolarmente attraenti per Credit Suisse sono le economie emergenti asiatiche. «Molti Paesi emergenti, come l’India», commenta Nannette Hechler Fayd’herbe, global head dell’investment strategy della banca, «possono contare su un enorme mercato interno e hanno solo un terzo del Pil legato al commercio internazionale». Il Paese emergente preferito da Credit Suisse è l’Indonesia, grazie anche al piano di riforme varato dal presidente Joko Widodo: in due anni di mandato ha abolito le tasse sul petrolio e lanciato un condono fiscale per recuperare introiti. Anche l’azionario cinese resta attraente, dopo il periodo di volatilità sperimentato nel 2016, considerate anche le riforme governative che hanno reso i mercati finanziari cinesi più aperti all’investitore internazionale.