Finanza comportamentale
L’irrazionalità impatta nell’ordine del 3% Il ruolo dei consulenti per avere maggiore diversificazione
Emotività, l’incidenza sugli investimenti
di Andrea Gennai
L’emotività gioca brutti scherzi nel campo degli investimenti finanziari. Vendita frettolosa di asset o concentrazione del rischio su pochi strumenti conosciuti solo due esempi molto concreti. L’emotività può avere anche un costo molto concreto: circa il 3% dei propri investimenti. A provare a quantificarlo è Barbara Alemanni, ordinario di economia degli intermediari finanziari all’università di Genova ed esperta di tematiche legate alla finanza comportamentale. E proprio al sottile legame tra psicologia e finanza ha dedicato un intervento al convegno per i 30 anni della Siat (Società italiana analisi tecnica) svoltosi recentemente a Milano.
Il fenomeno dell’emotività è sicuramente più elevato per gli investitori fai-da-te rispetto a quanti si rivolgono a un professionista del settore. «Sul rapporto tra i consulenti e i risparmiatori - spiega Alemanni - ci sono ricerche con risultati interlocutori, ma su un punto sicuramente i consulenti svolgono un ruolo chiave, quello di garantire una maggiore diversificazione e quello di avere anche un ruolo empatico di rassicurazione soprattutto nelle fasi di maggiore tensione e volatilità».
I punti su cui lavorare per stare sul mercato sono molteplici. Intanto ridurre drasticamente l’impazienza, uno dei peggiori nemici. « La detenzione media di un portafoglio azionario o obbligazionario negli Usa - continua Alemanni - è di circa 3 anni. Si tratta di un periodo troppo breve. Non do alla classe di investimento il tempo di generar- mi una crescita nel medio e lungo termine » .
Se a questo aggiungiamo poi che spesso il timing di ingresso sui mercati non è ottimale, il quadro che emerge è problematico. L’investitore medio è euforico quando i mercati hanno già raggiunto il massimi ed è depresso quando i mercati sono già crollati. Una strategia contrarian ( che compra nella fasi difficili) statisticamente risulta interessante. Affrontare il mercato è complicato: come emerge anche dalle performance degli investitori medi, i benchmark (sia azionari che obbligazionari) sono molto difficili da battere vuoi per i costi vuoi per gli approcci sbagliati degli stessi risparmiatori. Musica per le strategie passive.
«Le riflessione sugli investimenti passivi - spiega Davide Bulgarelli, presidente Siat - è sicuramente affascinante. Ma anche in questo campo servono scelte attente. Chi dal 2008 avesse investito nell’azionario Usa avrebbe avuto risultati interessanti, mentre i n Europa le soddisfazioni sarebbero state molto minori. A mio avviso restano ancora ampie aree da esplorare. Se da un lato continuerà l’esplosione di strumenti passivi dall’altro serviranno strategie diversificate. Se sono un trader devono ragionare in termini di volatilità ed estremi di mercato. Al contrario chi investe in ottica di medio e lungo termine non può prescindere dal concetto della forza relativa e puntare sui mercati più tonici » .
Secondo Bulgarelli, un fattore distintivo su questo versante sarà il controllo del rischio. Puntare su investimenti che tutelino questo aspetto dove la semplice replica passiva può mostrare dei limiti. « Con i movimenti a sincrono delle asset class tipici degli ultimi anni - conclude Bulgarelli - la semplice replica passiva non mette al riparo da movimenti violenti e la gestione del rischio diventa cruciale. Occorre tra produttore ed investitore una filiera “colta” » .