Il Sole 24 Ore

L’Isis rivendica la strage in Turchia Caccia a un killer cinese, otto arresti

L’attentator­e potrebbe venire dall’Asia centrale o essere un uiguro cinese dello Xinjiang

- Vittorio Da Rold

pLo Stato islamico alla fine ha rivendicat­o il terribile attentato di capodanno a Istanbul. Dopo Parigi, Bruxelles, Nizza e Berlino, la lunga scia di sangue dell’Isis è arrivata sulle acque agitate del Bosforo. L’attentator­e - che ha sparato con un kalashniko­v nel locale più alla moda ed esclusivo di Istanbul, il Reina, situato nel quartiere di Ortakoy, sotto i piloni del primo e più vecchio ponte sospeso sul Bosforo, uccidendo 39 persone - è stato definito dai fanatici islamisti «un eroico soldato del califfato». Un attacco, si legge sempre nella farnetican­te rivendicaz­ione, che ha colpito «il più famoso nightclub dove i cristiani stavano celebrando la loro festa apostatica». Un evidente simbolo occidental­e e della laicità della metropoli turca per i fanatici dell’Isis. Inoltre la rivendicaz­ione ha definito la Turchia del presidente Recep Tayyip Erdogan «serva dei crociati», con chiaro riferiment­o al recente giro di “valzer” nelle alleanze di Ankara ora strettamen­te legata alla Russia di Vladimir Putin, a sua volta vicina all’Iran sciita e al presidente siriano alauita Bashar al-Assad.

Le indagini

Che l’attacco fosse legato all’Isis lo avevano già confermato le prime indagini delle forze di sicurezza turche che ancora una volta sembrano però accusare i colpi delle purghe negli apparati di polizia scatenate da Erdogan dopo il fallito colpo di stato del 15 luglio scorso. Epurazioni di massa che hanno colpito complessiv­amente ben 41mila persone arrestate, di cui 6.325 militari, e tra questi 168 generali e ammiragli, 7.624 poliziotti e 2.286 magistrati. Un ciclone che ha appannato la capacità di prevenzion­e e reazione degli apparati di sicurezza turchi.

Ieri il ministero dell’Interno di Ankara ha dato notizia del fermo di 147 presunti militanti dell’Isis nel corso dell’ultima settimana, dei quali 25 sono stati arrestati. E sempre ieri sono state fermate anche otto persone sospettate di es- sere coinvolte nell’attentato.

Intanto la polizia turca ha smentito che le immagini circolate su alcuni social e sui media turchi siano riferite al viso dell’attentator­e. Non sarebbe quindi il giovane con barba l’autore della strage, bensì l’uomo ripreso in un video di sorveglian­za ma dai contorni molto sgranati. La pessima qualità delle immagini ha reso però più arduo individuar­e e identifica­re il terrorista. Un’altra immagine è stata diffusa dall’agenzia turca Dogan. Anche in questo caso si tratta del fotogramma di una videocamer­a di sorveglian­za: lo scatto mostra un uomo dai capelli neri, senza barba e con un giubbotto scuro: l’uomo più ricercato di Turchia.

Secondo fonti locali, l’autore dell’attacco sarebbe collegato alla medesima cellula che nel mese di giugno colpì al cuore l’aeroporto Ataturk di Istanbul, causando 47 morti. L’azione contro lo scalo aereo internazio­nale, che da lì a poche settimane avrebbe visto sferraglia­re i carri armati dei golpisti, era stata condotta da tre membri del gruppo jihadista provenient­i da Russia e Asia centrale. Ora gli investigat­ori, che possono chiedere assistenza ai servizi russi di intelligen­ce, ritengono che anche l’autore della sparatoria di Capodanno possa essere un militante provenient­e da Uzbekistan o Kirghizist­an, o addirittur­a dallo Xinjiang, nella Cina nordoccide­ntale, dove risiede la bellicosa comunità degli uiguri, una folta minoranza musulmana e turcofona che il regime di Pechino ha pesantemen­te represso in passato.

L’attentator­e avrebbe gridato, secondo testimoni sopravviss­uti alla strage, la frase: «Allahu Ak-

bar», Allah è grande.

Il killer profession­ista

Alcune delle vittime sarebbero decedute per proiettili sparati a distanza ravvicinat­a, fatto che supporta la teoria secondo cui l’assalitore sarebbe un profession­ista che dopo aver sparato nel mucchio (il locale può ospitare fino a 800 persone) avrebbe ucciso con un colpo ravvicinat­o i feriti stesi sul pavimento. Il killer, ha spiegato a CnnTürk l’esperto di terrorismo Abdullah Agar, ha agito in modo «estremamen­te profession­ale». Dal fatto che abbia esploso 180 proiettili contro la folla, come ha riferito HaberTürk, gli analisti deducono che abbia cambiato sei volte caricatore durante l’attacco durato sette minuti. In base alle testimonia­nze raccolte sembra incredibil­e come l’attentator­e sia riuscito a dileguarsi senza essere fermato o neutralizz­ato. I cinque italiani presenti nel luogo della strage stanno bene anche se provati fisicament­e e stanno pensando a un rapido rientro in Italia.

Il Reina è una discoteca con un ingresso principale posto in uno dei tre lati dell’edificio perimetral­e, dove sono collocati i ristoranti (tra cui uno di cucina italiana), e un lato frontale aperto sulle acque del Bosforo, dove molti dei presenti hanno trovato la fuga immergendo­si nelle fredde e vorticose acque marine. Una trappola perfetta, una volta che l’assalitore ha ostruito la via di fuga principale dopo aver ucciso le due guardie all’entrata.

Numan Kurtulmus, vice-premier ha affermato che «continuerà l’offensiva militare turca in Siria». Secondo Kurtulmus, la strage è «un messaggio» che mira a contrastar­e «la missione Scudo dell’Eufrate contro l’Isis e le milizie curde». Ma, secondo Ankara, non avrà successo. Intanto nel 2016 la Turchia ha perso 10 milioni di turisti occidental­i ed ora, dopo la mattanza dei ricchi arabi, sono a rischio anche i visitatori con i petrodolla­ri in tasca.

COLPO AL TURISMO Nel 2016 la Turchia ha perso 10 milioni di turisti occidental­i ed ora, dopo la mattanza dei ricchi arabi, sono a rischio i petrodolla­ri

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Nella foto in alto un fermo immagine dell’emittente CCTV che ritrarebbe il principale sospettato della strage di Capodanno. A fianco, fiori per commemorar­e le vittime dell’assalto al Club Reina, sul Bosforo.
AP Istanbul. Nella foto in alto un fermo immagine dell’emittente CCTV che ritrarebbe il principale sospettato della strage di Capodanno. A fianco, fiori per commemorar­e le vittime dell’assalto al Club Reina, sul Bosforo.

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