I cittadini stella polare del Colle
Lontano dalla retorica, il presidente Mattarella costruisce le sue prese di posizione in maniera stringata (nel discorso di fine anno ha parlato un po' meno di 17 minuti), ma proprio per questo molto calcolata.
La chiave del discorso nell’attesa di tutti era un ragionamento rivolto al paese più che alla politica. Così è stato e non deve trarre in inganno la chiusura dedicata ad una illustrazione del suo comportamento nella recente crisi di governo.
Anche quello è stato un intervento diretto “alla gente”. Non è un caso che sia partito dal riferimento a lettere, anche di critica, ricevute dai cittadini: chiarisce, per chi vuol capire, che non ritiene di dover dare giustificazioni alla classe politica, ma che interpreta come suo dovere far sapere agli italiani che si muove avendo davanti sempre esclusivamente una valutazione razionale del loro interesse.
Come sempre il discorso va letto nella sua completezza, perché la struttura ha già un suo messaggio da trasmettere. Certo Mattarella non ama infiammare le passioni, men che meno mettersi in scena, ma non per questo rinuncia a comunicare argomentazioni che contemporaneamente mettano tutti di fronte a quella realtà che il Quirinale conosce bene (perché è, più di quanto si creda, un terminale su cui si scaricano le tensioni del paese) e diano fiducia che ci si sta responsabilmente misurando con quella difficile realtà.
Dunque, in sintesi, il discorso si è strutturato su tre assi: un catalogo puntiglioso dello stato di tensione in cui versa l’Italia; un richiamo al fatto che in una tale situazione lasciare il paese privo di un governo sarebbe stato poco responsabile; una dichiara- zione che una democrazia ha anche il ricorso al voto dei cittadini come strumento per uscire dalle crisi, purché questo voto avvenga in un contesto che gli permette di assolvere a quella funzione.
Potrebbe essere facile strumentalizzare per fini di parte l’interpretazione di questi assi, ma sarebbe sbagliato. Il riconoscimento delle difficoltà con cui deve misurarsi il paese non è una critica ai risultati del governo Renzi: sarebbe incompatibile col fatto che sostanzialmente si è lasciata la successione a quella stessa compagine, segno che le difficoltà non derivano da chissà quali errori compiuti, ma da una situazione che si stava cercando di sanare con un’opera che va continuata perché si è solo agli inizi. La sottolineatura della necessità di non lasciare senza governo un paese che deve misurarsi con una contingenza non facile veniva di conseguenza.
Sarebbe stato curioso immaginare che dopo aver ricordato emergenze non certo di ordinaria amministrazione come il disastro causato dal terremoto e il dramma della disoccupazione giovanile che pesa come un macigno sul futuro del paese si fosse potuto concludere che il tema essenziale era quello di consentire che le classi politiche potessero correre ad una prova elettorale che avrebbe finito per assomigliare più ai meccanismi del televoto nei confronti televisivi di vario genere che non all’esercizio del potere fondamentale che i cittadini hanno in democrazia, che non è quello di decidere chi sia “il più bello del reame”, ma quello di darsi un parlamento che esprima un governo e che lavori con esso a risolvere i loro problemi.
Vorremmo dire che la scelta di mostrare in chiusura del discorso il disegno che gli hanno donato i bambini delle zone terremotate con la notazione che preoccuparsi del loro futuro è il dovere degli uomini pubblici va vista come qualcosa di ben diverso da un colpo di teatro. Per usare strumentalizzazioni del genere Mattarella non ha né “il fisico” né l’arte della scena. Il suo era il richiamo al ruolo di “difensore della città” che, secondo una antica formula, tocca a chi è investito di un ruolo di rappresentanza di tutta la nazione, che è inevitabilmente un ruolo di tutela e di fiducia per il perpetuarsi del suo sviluppo.
Di qui nuovamente il suo appello accorato (e in questo caso l’aggettivo è appropriato) ad una politica che deve astenersi dal seminare odio. Si eviti di strumentalizzare: non era solo una messa in guardia contro tanti estremismi di marca populista che hanno circolato in questi mesi. Era un discorso più generale verso una politica e, perché non dirlo, in generale verso una cultura pubblica che nel suo complesso sembra prediligere l’arma della delegittimazione feroce dell’avversario al confronto delle idee, anche serrato, ma razionale.
IL RUOLO DELLA POLITICA Dietro l’appello a non seminare l’odio un invito a non sostituire il confronto serrato delle idee alla delegittimazione dell’avversario