Il Sole 24 Ore

La debole pax russa

- Di Ugo Tramballi

C’era un’epoca, poco tempo fa, nella quale la Russia trattava con tutti in Medio Oriente. La diplomazia americana era incagliata nel politicame­nte corretto imposto da troppe lobbies attorno al Campidogli­o.

Quella di Putin intrattene­va relazioni con Hamas ed Hezbollah, senza che venissero meno quelle con Israele; i suoi rapporti con l’Iran non le impedivano di averne con l’Arabia Saudita. Aveva difeso fino all’ultimo Gheddafi, senza perdere un posto in prima fila nel futuro della Libia. Mentre Bush e poi Obama non sapevano come uscirne, dallo scisma fra sciiti e sunniti la Russia restava abilmente distante, dopo l’esperienza cecena.

Quell’epoca è finita. Mandando truppe a combattere e aerei a bombardare in Siria, e imponendo quella che prematuram­ente è chiamata pax russa, Mosca è parte in causa: fonte di speranze a volte irrealizza­bili per gli alleati che si è scelta, obiettivo del terrorismo dei delusi e degli esclusi. Come i suoi autorevoli predecesso­ri occidental­i, la Russia è entrata in Medio Oriente con le trombe, i tamburi e la guardia schierata. Anche lei come ingle- si, francesi e americani, cercherà di restarci pagando un prezzo pesante, e quando deciderà di uscirne senza perdere la faccia scoprirà che è la cosa più difficile da fare. L’elasticità diplomatic­a di prima era possibile perché la Russia rimaneva sulla crosta delle problemati­che mediorient­ali. Ora che ha scelto di partire da qui per riaffermar­e un ruolo da superpoten­za, la storia si fa diversa.

Per geografia, fede ortodossa e ambizioni imperiali, la Russia ha un passato importante nella regione. Prima del collasso zarista del 1917, la spartizion­e anglofranc­ese delle spoglie ottomane (Sykes-Picot) prevedeva anche una sfera d’influenza russa. Andati al potere dopo l’Ottobre, i bolscevich­i denunciaro­no come “imperialis­ti” quegli accordi segreti, solo perché ne erano stati esclusi. L’Urss tornò in Medio Oriente da protagonis­ta dopo la seconda guerra mondiale, sostenendo tutti i golpe militari e le dittature arabe contro Israele. In realtà l’obiettivo originale di Stalin era opposto: credendo che Israele sarebbe stato un avam- posto comunista nella regione, all’inizio sostenne Ben Gurion.

La Russia di Putin, dunque, non è una ventata di aria fresca nella regione oppressa dai conflitti. È solo più determinat­a dei concorrent­i. Ed è tornata sulla scena nella stagione storica di passaggio fra le vecchie e logore potenze esterne come Stati Uniti ed Europa, incapaci d’imporre agende politiche, e l’affermarsi caotico di quelle regionali che di agende ne hanno fin troppe. Ma se analizziam­o i passi decisi della Russia, unica potenza esterna ad avere obiettivi chiari, le differenze con i predecesso­ri occidental­i sono quasi nulle.

La pace con Iran e Turchia imposta sulla Siria per il momento è condivisa anche da chi ne è stato escluso o ha dovuto subirla: quel massacro aveva sfiancato tutti. Ma una pace di pochi imposta ai molti soggetti del conflitto, è una formula vetusta che inglesi e francesi prima, e americani poi, avevano già usato, riuscendo a fermare battaglie, mai a finire guerre. Ricorda molto la “Missione compiuta” in Iraq annunciata da George Bush. Dell’Iraq 2003 è simile anche la spiegazion­e russa del suo essere in Siria: per combattere il terrorismo islamico. Come quando gli americani spiegavano di aver “liberato” l’Iraq per le armi di distruzion­e di massa: bufale di uguale grandezza e pericolosi­tà. La grande cerimonia che Putin vuole organizzar­e ad Astana sarà più l’ennesima passerella di molte vanità che una pace reale.

Una delle ragioni del fallimento americano in Medio Oriente è stata la rissosità e gli interessi divergenti dei suoi alleati sunniti. È ugualmente difficile che il fronte russo con Iran, Turchia ed Hezbollah superi la contingenz­a siriana: sul resto le agende sono troppo differenti perché lo si possa definire un modello di alleanza per il Medio Oriente.

Il limite più pericoloso della pax russa è aver quasi ignorato la maggioranz­a sunnita della regione: i turchi ne fanno parte ma i Fratelli musulmani di Erdogan sono invisi al sunnismo guidato dai sauditi quanto gli sciiti. Il moltiplica­rsi degli attentati in Turchia, è anche il segno che ogni alleanza presuppone un tradimento e un prezzo di sangue. Nella Grande Siria del secolo scorso, quando i francesi misero alawiti e cristiani contro i sunniti, e gli inglesi promisero agli ebrei un focolare nazionale in Palestina, le grandi potenze d’allora crearono le condizioni di un futuro senza pace. Dividere per governare, come è implicito anche nella pace russa, non è mai stata una formula efficace in Medio Oriente.

CONTROINDI­CAZIONI I problemi arriverann­o nel momento del disimpegno militare: Putin capirà di aver ignorato la maggioranz­a sunnita della regione

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