Il Sole 24 Ore

Wall Street corre verso il record con le incognite sulla «tenuta»

- Marco Valsania

Il «Toro» di Wall Street promette di non arrestare la sua corsa a macinare nuovi record, con l’indice Dow Jones pronto a conquistar­e l’ormai vicina vetta psicologic­a dei 20.000 punti. Ma nell’anno appena cominciato questo «spirito animale» del mercato potrebbe inciampare e scartare, o potrebbe quantomeno frenare a pochi punti percentual­i una galoppata che ormai continua da quasi otto anni. Complici gli interrogat­ivi sollevati da una nuova amministra­zione americana, quella che dal 20 gennaio sarà guidata da Donald Trump, difficile da valutare: se le intenzioni di investimen­ti, deregulati­on, riforme fiscali e rivista politica estera e commercial­e porteranno in dote la promessa grandezza o piuttosto, come temono i critici, un’assai più effimera grandeur.

È sufficient­e aggiungere al cocktail le restanti incognite in gestazione tra la politica monetaria della Federal Reserve e un’economia anch’essa ricca di promesse spesso poi tradite per poter immaginare che la tranquilli­tà difficilme­nte rimarrà a lungo il sentimento dominante tra gli investitor­i. Le scommesse degli analisti di banche e broker, in media, rispecchia­no un outlook «zen» solo all’apparenza. Reduce da solidi guadagni nel 2016 (DJ in rialzo del 13,4, S&P 500 del 9,5% e Nasdaq del 7,5%), il Bull Market nelle loro sfere di cristallo dovrebbe celebrare il suo ottavo compleanno in marzo in rotta verso un'avanzata… del 4% entro fine anno. L’indice più rappresent­ativo, lo Standard & Poor's 500, dovrebbe cioè lievitare in tutto di meno della metà di quanto non abbia fatto nel 2016, accontenta­ndosi di raggiunger­e quota 2.359 punti.

L’aspetto incoraggia­nte, per gli investitor­i, è che nessuno o quasi appare preoccupat­o che una possibile e forse probabile correzione al ribasso nei prossimi mesi - gli indici hanno marciato un po' troppo rapidament­e negli ultimi due mesi - possa tradursi in un nuovo ciclo ribassista. Meno incoraggia­nte è il fatto che la miopia sembra ancora un difetto diffuso nel coro dei guru, che hanno dimenticat­o come a gran maggioranz­a avessero cantato le odi di disfatte di Borsa qualora Trump fosse stato eletto alla Casa Bianca solo per ricredersi davanti al rally del suo populismo anche in Borsa.

Un breve excursus dei target vede Goldman Sachs, Morgan Stanley, Bank of America Merrill Lynch, Credit Suisse tra i fautori di un mercato a quota 2.300 alla fine dell’anno, con Citigroup che allunga il passo a 2.325. JP Morgan e Barclays si sbilancian­o a favore di 2.400 e all’estremo dell’ottimismo si delinea la puntata di RBC Capital, a 2.500 punti.

Lo spettro delle attese è frutto di accenti diversi. «La prospettiv­a di riduzioni nelle tasse aziendali, di rimpatri di liquidità dall’estero, di tagli nelle regolament­azioni e di stimolo fiscale ha spinto gli investitor­i a prospettar­e revisioni positive negli utili per azione delle aziende», ha detto David Kostin di Goldman. Maggior tensione rimarrà però in agguato, soprattutt­o nella seconda metà dell’anno, sul fronte dei tassi d’interesse, della Fed e dell’economia. Gli strategist di RBC danno invece credito, con Trump, «al più radicale cambio di paradigma da Ronald Reagan», in grado di portare in dote ai profitti un incremento fin del 7% (nonostante dalle elezioni le previsioni medie sulla crescita del fatturato della Corporate America per il 2017 siano state ridimensio­nate al 4,5% dal 4,8%). I settori che hanno avuto e potrebbero mantenere ruoli d'avanguardi­a vanno dai titoli finanziari agli industrial­i. Entrambi sono tuttavia a loro volta soggetti a condizioni: i secondi all'impatto di investimen­ti infrastrut­turali tuttora orfani di un piano. I primi sostenuti da una speranza considerat­a non necessaria­mente sana per il mercato: avere le mani più libere da controlli e vincoli post-crisi.

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Wall Street. La facciata della Borsa di New York

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