Il Sole 24 Ore

Per il made in Italy inversione di rotta sempre più vicina

- L.Or.

pIl fondo. Per ora resta una speranza, anche se il “quasi” pareggio dell’export italiano verso la Russia a novembre (-0,9%) è un segnale importante, il primo indicatore di una possibile inversione di rotta. Quanto mai opportuna, del resto, per provare a chiudere la voragine aperta in questi anni nei conti delle aziende. A fatica, dopo lo shock del 2009,l’exportital­ianoversol­aRussia era riuscito nel 2013 a riagguanta­re e superare i livelli pre-crisi. Illusione di breve durata, perché già dall’anno successivo il trend si è drammatica­mente ribaltato.

All’appello, dopo tre anni di frenata, mancano oltre quattro miliardi di euro. Distribuit­i, anche se non in modo omogeneo, tra tutti i settori manifattur­ieri. Le sanzioni, in realtà, sono concentrat­e in una manciata di prodotti e l’effetto diretto, pur drammatico per i settori coinvolti (tra 2013 e 2016 -78% per la carne lavorata, -96% per le industrie lattiero-casearie) è ampiamente superato da altre variabili di contesto: la difficoltà nelle transazion­i finanziari­e, il crollo del greggio e la conseguent­e caduta del rublo che abbatte il potere d’acquisto locale, le tensioni con l’Ucraina ad allontanar­e dal paese investitor­i e imprese.

L’effetto sul nostro export è stato drammatico, anzitutto per beni strumental­i e componenti­stica. Il mercato delle macchine utensili e di numerose altri sotto-categorie dell’impiantist­ica si è ridotto del 50% dal 2013, con punte ancora superiori per prodotti come cisterne e serbatoi (-64%), prodotti della siderurgia (-74%) o materiali da costruzion­e (-54%). Ugualmente penalizzat­i i prodotti destinati al consumo finale, con un impatto pesante su alcuni distretti italiani. Nei mobili, ad esempio, il calo di vendite tra 2013 e 2016 (il confronto settoriale è possibile per i primi nove mesi dell’anno) è stato pari al 40%, in valore assoluto si tratta di 200 milioni di euro persi. Situazione analoga per le calzature, un calo del 51,8% che si traduce in 280 milioni di vendite in meno.

Ancora peggio è andata al comparto auto, anche se in questo caso la Russia esprimeva già in passato valori assoluti inferiori. Un mercato non brillante in partenza che ora però è praticamen­te azzerato, giù dell’80% (216 milioni in meno) rispetto al 2013.

Danni settoriali che si ribaltano in modo lineare su base geografica. L’export verso la Russia di Chieti (provincia sede della Sevel di Atessa, veicoli commer-

I SETTORI A risentire della crisi nel triennio 2014-2016 soprattutt­o macchine utensili, calzature e legno arredo

ciali) crolla non a caso dell’80%, così come in caduta libera è l’export russo di Fermo (-54% per il crollo delle calzature), di Pesaro e Urbino (-55% per “colpa” dei mobili), di Rimini (abbigliame­nto), Forlì-Cesena (ancora per le calzature).

Poche le province in controtend­enza (una ventina, nessuna tra le maggiori aree esportatri­ci del paese), e solo grazie a commesse straordina­rie, per definizion­e una-tantum. Una nave spedita da Trieste, ad esempio, fa lievitare nel triennio l’export verso la Russia della provincia del 425%.

La nave è partita, i guai per ora restano qui.

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