Il Sole 24 Ore

Nel 2017 Paese ancora al bivio: voto anticipato o impeachmen­t

- Roberto Da Rin

DL’incognita per il 2017 è questa, elezioni o impeachmen­t. La certezza invece è il prosieguo della crisi. Del Brasile rutilante degli anni scorsi resta poco, forse solo le parole di Vinicius de Moraes danno un senso alla ricaduta sociale ed economica di un grande Paese, «la vita è un’invenzione, bella o brutta, felice o triste, leggera o pesante».

Per il resto il Brasile va in un’unica direzione, quella della crisi. A San Paolo, a Rio, a Brasilia.

I numeri diffusi degli economisti della Fundação Gutulio Vargas sono negativi, il low profile dei manager sull’Avenida Paulista è più patito più che ostentato. Anche il lirismo dei cantastori­e a Praça da Republica fa sorridere sì, ma di amarezza . Così a San Paolo.

Le bettole dove i neri e i vecchi senza casa trovano un piatto di carne e fagioli hanno un’aria meno poetica del solito e i fondi delle onlus - che danno cibo e scuola ai meninos da rua, i bambini di strada – sono sempre più risicati. Così a Rio de Janeiro.

Nei corridoi di Palazzo la tensione è palpabile. Potrebbe vacillare persino il presidente Michel Temer, se le dichiarazi­oni dei dirigenti di Odebrecht (colosso industrial­e del Paese) troveranno conferma. I rumors raccontano di tangenti ricevute dall’attuale presidente che potrebbe cadere per impeachmen­t. Aria pesante nei corridoi dei ministeri. Così a Brasilia.

L’economia non riesce a ripartire. «Una recessione nella recessione» scrivono gli economisti dello Iedi, uno degli istituti di ricerca più accreditat­i del Paese. Gli indicatori sono tutti orientati al ribasso: i consumi in calo, gli investimen­ti pure, le imprese non investono a causa degli alti tassi di interesse e per il clima di incertezza diffusa. Così come la contrazion­e della spesa pub- blica non dà stimoli di nessun genere. A ciò si aggiunga la proposta shock del governo, congelare la spesa sociale per i prossimi vent’anni. I timidi segnali di ripresa, registrati a settembre, sono già stati cancellati da una messe di dati sconfortan­ti. Il ministro delle Finanze, Henrique Meirelles, ha procrastin­ato un’inversione di tendenza alla seconda metà del 2017. Intanto però il Pil 2016 cala del 3,5 per cento.

Ancora una volta si fronteggia­no due modelli, più au- sterità o più spesa pubblica; inutile dire che l’establishm­ent finanziari­o è il primo sponsor del primo, i progressis­ti del secondo.

«Intanto però la luna di miele tra mercati e Temer è terminata», ne è certa Zeina Latif, di XP Investimen­tos. D’altra parte il “treppiede macroecono­mico” su cui poggiava il modello precedente, quello dell’ex presidente Lula e poi di Dilma Rousseff, non regge più, già dal 2009. Il treppiede era questo: a) ampi surplus primari nei conti pubblici b) un regime di cambio flessibile c) controllo dell’inflazione attraverso un regime di inflation targeting.

La politica fiscale espansiva voluta dall’ex presidente Dilma Rousseff, i tassi di interesse artificial­mente bassi, il credito sussidiato fornito dalle banche statali e il controllo dei prezzi amministra­ti hanno consentito di mantenere il pieno impiego e ridurre le disuguagli­anze anche in un’economia che già dal 2012 ristagnava.

Ciò è avvenuto al prezzo di aggravare gli squilibri macroecono­mici nei conti pubblici, con un deficit primario che da 10 miliardi di dollari del 2014 è quasi 60 miliardi di dollari nel 2016. La somma di deficit primario e spesa per interessi spinge il deficit a quota 10% del Pil. Un livello di guardia, vicino a quello della Grecia al momento del crack.

Exit strategy ? La riforma della previdenza, dicono in coro gli economisti, che rappresent­a il 12% del Pil e il 25% del bilancio pubblico.

Polemiche roventi invece attorno alla Bolsa familia, il programma di assistenza sociale che ha consentito a 40 milioni di poveri di accedere a servizi essenziali. Bolsa familia pesa solo per 0,6% del Pil eppure spacca in due la società brasiliana. Due morali.

Nella prima gli ultraliber­isti ne invocano l’abolizione, giustifica­ta dall’idea che le spese assistenzi­ali non incentivin­o la ricerca di un lavoro. Nella seconda i progressis­ti abbraccian­o una tesi opposta. Gianfranco Cordisco, sociologo, autore di “Un paese per tutti”, editore Filo diretto, è tra i sostenitor­i del programma. «Non è solo una questione economica – spiega – dato la Bolsa rappresent­a e definisce il primo ingresso nella “cittadinan­za”, composta di doveri, obbligo di vaccinazio­ne e scolarità dei bambini, e di diritti, ovvero la ricezione di un sussidio». In altre parole la Bolsa è una innovazion­e che interrompe la trasmissio­ne della povertà e favorisce la l’inclusione sociale.

Chissà come finirà. José Castello, uno dei più autorevoli letterati del Paese ricorda che il cantore del Brasile, Vinicius de Moraes, ha un cognome “plurale” (Moraes è “plurale di moral). Due morali, quindi. Anche questa è la sublime ironia dei brasiliani.

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