Il Sole 24 Ore

Renzi, Gentiloni, Fanfani e i Governi dimissiona­ri

- Diego Faletti Asti

Caro Fabi, l’ultima crisi politica mi ha lasciato qualche dubbio e perplessit­à sotto l’aspetto istituzion­ale. Posso capire le ragioni contingent­i per cui Matteo Renzi si è dimesso poche ore dopo aver avuto un voto di fiducia del Parlamento. Mi chiedo tuttavia se, per ipotesi, il Governo successivo non avesse ottenuto la fiducia avrebbe potuto o dovuto ritornare in carica il Governo Renzi, che comunque la fiducia l’aveva avuta pochi giorni prima e che era rimasto in carica anche se solo per “il disbrigo degli affari correnti”, come affermato nel comunicato della presidenza della Repubblica? Ci sono precedenti di questo tipo nella storia politica italiana?

Olivio Torti Caro Torti, il passaggio di consegne da un Governo a un altro avviene nel momento del giuramento e nella contestual­e firma dei decreti di nomina da parte del presidente della Repubblica. Quindi così come non ci possono essere due Governi contempora­neamente in carica, non ci può essere alcun periodo breve o lungo senza un Governo. La formula “disbrigo degli affari correnti” non costituisc­e un obbligo formale, dato che non ha nessun riferiment­o a livello costituzio­nale, ma un semplice invito istituzion­ale a non approvare provvedime­nti che eccedano quella che può essere considerat­a l’ordinaria amministra­zione; resta il fatto che in casi di necessità e urgenza anche un governo dimissio- nario può varare decreti legge con efficacia immediata.

Quindi, tornando al caso concreto, il Governo Renzi è entrato nei libri di storia nel momento in cui è avvenuto il giuramento del suo successore, Paolo Gentiloni. Se quest’ultimo non avesse avuto la fiducia del Parlamento sarebbe comunque rimasto in carica rimettendo la decisione di tentare altre strade al presidente della Repubblica.

Nella storia politica italiana particolar­mente significat­ivo è quanto avvenuto nel 1987. Dopo le dimissioni, il 3 marzo, del secondo governo Craxi, il presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, affida l’incarico di formare un nuovo Governo a Giulio Andreotti che dopo quindici giorni rinuncia, per l’opposizion­e dei socialisti che tra i democristi­ani avrebbero preferito Arnaldo Forlani. Cossiga a quel punto affida, con spirito palese-

mente provocator­io verso i suoi “amici” della Dc, un incarico esplorativ­o a Nilde Jotti, presidente della Camera ed esponente del Partito comunista. Le divisioni tra Dc e socialisti divengono a quel punto ancora più aspre e Cossiga decide di rinviare Craxi alle Camere, ma la Dc fa dimettere i propri ministri e a Craxi non resta che dimettersi di nuovo. Si parla quindi sempre più esplicitam­ente di elezioni anticipate. Cossiga affida quindi un incarico prima a Scalfaro, poi a Fanfani, soprattutt­o nella sua qualità di presidente del Senato. A fine aprile, costituito un Governo, composto da esponenti democristi­ani e da tecnici, Fanfani si presenta alla Camera per la fiducia. Con l’esplicita volontà di provocare le elezioni anticipate la stessa Dc si astiene dal voto mentre i socialisti votano a sorpresa a favore. Il Governo è bocciato con 131 sì contro 240 no e 193 astensioni. Fanfani sale al Quirinale per le dimissioni e il presidente Cossiga scioglie in Parlamento. È comunque Fanfani a gestire le elezioni che si svolgono il 14 giugno: la Dc ottiene un buon risultato con il 34% dei voti mentre il Pci, che nelle precedenti elezioni aveva avuto una forte crescita dopo la morte di Berlinguer, si ferma al 26%. Si può ricordare che per la prima volta si presenta la Lega che ottenne un seggio in entrambi i rami del Parlamento. Comunque la Democrazia cristiana si conferma l’asse centrale della politica e un suo esponente, Giovanni Goria, forma il 29 luglio il successivo Governo. Fanfani rimase quindi in carica, pur senza avere la fiducia del Parlamento, per più di cento giorni.

Oltre il populismo

Non penso che il populismo sia il vero problema di questo anno che inizia. Le critiche al palazzo verrebbero ignorate dai cittadini se la politica si occupasse meno di poltrone e leggi elettorali e più di lavoro e sicurezza. Tutti i partiti cercano di essere populisti e tutti accusano gli altri di esserlo. Un nuovo esecutivo diventa un mezzo per chi governava di restare fuori quel tanto che basta per accattivar­si gli elettori con nuovi slogan. Solo il tempo può farci capire se chi viene additato per aver fatto facile propaganda è poi in grado di produrre qualche soluzione utile. Solo un vero leader è in grado di prendersi la responsabi­lità di decisioni coraggiose, ispirate da una visione ben chiara di futuro di crescita del Paese. Questo manca all’Italia e all’Europa: leader capaci di governare questa difficile fase.

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