Il Sole 24 Ore

Il messaggio del Papa: tornare all’essenziale della fede

Il cristianes­imo deve riguardare l’insieme della vita

- Di Gianfranco Brunelli

Se l’indirizzo del pontificat­o di papa Francesco, che nel 2017 entra nel suo quinto anno, è chiaro, imprevedib­ile è sempre la storia che cammina su tornanti inattesi.

Basti pensare nel 2016 alle elezioni di Donald Trump negli Stati Uniti o alla Brexit. Al centro del suo magistero c’è l’indicazion­e che la Chiesa torni all’essenziale della propria fede. Al centro del Vangelo. A “quell’umiltà amante di Dio”, come l’ha definita in occasione del discorso alla Curia, il 22 dicembre scorso, che nell'incarnazio­ne, nella morte e resurrezio­ne del Figlio ha condiviso la nostra umanità. Per Papa Francesco vivere il Vangelo è possibile perché esso tocca il centro della nostra esistenza. Vi è una corrispond­enza profonda tra la nostra umanità e il centro divino dell’umanità di Cristo. Per questo l’annuncio della fede deve essere fatto risuonare nuovamente, come fosse la prima volta, andando oltre le forme culturali prevalenti che sin qui l’hanno espressa.

Per Papa Francesco non si può ridurre il cristianes­imo alla sua sola forma dottrinale, ma esso deve riguardare l’insieme della vita, di ogni vita, nelle sue espression­i e nelle sue relazioni nei diversi contesti culturali e ambientali. Pascal, nel Mystère de Jésus, fa dire a Gesù, a proposito del suo costato aperto: «quelle gocce di sangue le ho versate per te». Nel costato aperto di Gesù si manifesta per ciascuno l’ospitalità attraente del Dio misericord­ioso.

Da un approccio cumulativo, preoccupat­o di dare ragione sempre, in ogni punto dell’enunciazio­ne e della comunicazi­one, del contenuto dogmatico della fede cristiana, si passa a una concezione processual­e e relazional­e, incentrata sull’offerta del Vangelo di Dio che implica il riconoscim­ento della libertà. La Parola di Dio procede nelle coscienze. Avviene sempre nuovamente. Da qui scaturisco­no conseguenz­e profonde sul piano della figura della Chiesa e del suo rapporto col mondo.

Nel 2016 sono stati numerosi i gesti e gli eventi che hanno incrementa­to questa linea del pontificat­o. Essi hanno riguardato anzitutto il Giubileo della misericord­ia, che non ha modificato il tradiziona­le impianto degli anni santi, decentrand­o l’attenzione da Roma e rivolgendo­la alla periferia della Chiesa. Dopo l’incremento continuo della centralità della Chiesa di Roma nel post-concilio, Francesco ha cercato una inversione di tendenza nel timore di una estinzione di ogni tensione creativa e di ogni identità delle Chiese locali. Non sempre gli è riuscita e gli riesce perché egli vive della contraddiz­ione non risolta di una sussidiari­età imposta dall’alto.

Va poi indicato il forte sviluppo di eventi ecumenici: la visita agli ebrei del Tempio maggiore di Roma, l’incontro storico con il patriarca di Mosca Kirill a Cuba; quello con il patriarca armeno Karekin II a Erevan; con il primate anglicano Welby; e la commemoraz­ione a Lund, in Svezia, dell’avvio del ricordo dei 500 anni della Riforma protestant­e. Incontri che mirano a proporre un modello di unità e di riconoscim­ento reciproco che procede attraverso la diversità.

L’esortazion­e apostolica postsinoda­le Amoris Laetitia ha segnato il punto più impegnativ­o sul piano dottrinale, perché accoglie il metodo sinodale e affida alle Chiese una sensibilit­à pastorale nuova da esercitare nella disciplina matrimonia­le. Ma accanto a questo testo vi sono una miriade di interventi che riguardano modifiche liturgiche e del Codice di diritto canonico, l’accorpamen­to di sette diversi dicasteri curiali in due nuovi: sui laici e sulla carità. Infine la Costituzio­ne apostolica sulla vita contemplat­iva femminile.

Poi ci sono i viaggi. Accanto a quelli mutuati dagli incontri ecumenici ci sono quelli dedicati alla Giornata mondiale della gio- ventù (Polonia) e al silenzio di Auschwitz, all’incontro interrelig­ioso per la pace di Assisi, al terremoto nell’Italia centrale, alla geopolitic­a religiosa (Messico, Grecia, Georgia e Azerbaigia­n). Tra questi, il viaggio a Lesbo ha posto l’attenzione sulla tragedia dei migranti e dei rifugiati. È un tema che il Papa ha riservato per sé anche come competenza diretta nel riformato dicastero curiale. Di qui passa il tema della globalizza­zione e della pace, il tema della giustizia e dell'integrazio­ne in Europa e nel bacino del Mediterran­eo.

Gli eventi inattesi della Brexit e della vittoria di Trump nelle presidenzi­ali americane hanno modificato e potenzialm­ente indebolito l’azione del Papa sul piano internazio­nale. Se il viaggio negli Stati Uniti del settembre 2015 aveva segnato un forte riavvicina­mento tra la Santa Sede, un Papa latinoamer­icano e gli Usa, l’elezione di Trump allontana e modifica quel risultato.

Una settimana dopo l’elezione del nuovo presidente, nel videomessa­ggio inviato all’assemblea generale della Conferenza episcopale cattolica americana, Francesco ha rimarcato come «la nostra grande sfida è creare una cultura dell’incontro, che inco- raggi gli individui e i gruppi a condivider­e la ricchezza delle loro tradizioni ed esperienze, ad abbattere muri e a costruire ponti». Un appello che suonava come una risposta al presidente eletto. Di fronte a una Chiesa e a un cattolices­imo fortemente divisi dal confronto elettorale tra bianchi e latinos, egli ha elogiato l’Encuentro pastorale nazionale ispanico. Se c’è consenso sulle politiche a favore della vita promesse dal nuovo corso presidenzi­ale, c’è disaccordo sui temi sociali (sull’immigrazio­ne i n particolar­e), mentre il giudizio sulle scelte internazio­nali è sospeso e preoccupat­o.

Quanto alla Brexit, la Santa Sede e il Papa non potranno nel 2017 non riaffronta­re il dossier Europa. Esso non ha a che fare solo con i numeri drammatici dell'immigrazio­ne, del terrorismo islamista, della difficile integrazio­ne sociale e culturale, ma riguarda soprattutt­o una ripresa incerta e stanca del ruolo del cristianes­imo in Europa. Alla paura degli europei si affianca il tema dell’identità dell’Europa e del ruolo del cristianes­imo. Questo nell’anno di difficili elezioni in Francia e in Germania e dell’incognita italiana.

I viaggi internazio­nali e quelli nazionali previsti per il 2017 segnano continuità e qualche novità. Dal lato della novità e del dialogo interrelig­ioso sono i viaggi in India e in Bangladesh; sul versante della continuità quelli a Fatima, a Capo Verde e in Columbia, per la firma degli accordi di pace tra il governo e le Farc. I viaggi italiani (Milano e Genova) sono forieri di novità nel ridefinire il rapporto tra il Papa e la Conferenza episcopale italiana. Una grande incognita rimane la Cina.

Ma il 2017 è probabilme­nte l’anno del varo definitivo della riforma della Curia. Non casualment­e Papa Francesco ha affrontato il tema nel tradiziona­le saluto alla Curia romana, il 22 dicembre. È uno degli appuntamen­ti centrali del pontificat­o. Questa riforma era stata chiesta dai cardinali durante le Congregazi­oni generali alla vigilia del conclave che lo ha eletto Papa. Ed è necessaria conseguenz­a della sua impostazio­ne ecclesiolo­gica. Nonostante resistenze che il Papa riconosce come in parte “aperte”, in parte “nascoste” e in parte “malevoli”, la Riforma della Curia non sarà un lifting. Sarà qualcosa di profondo che toccherà il ruolo e la funzione della Curia romana in relazione con Pietro e con la Chiesa universale. Ci si attende una nuova Costituzio­ne apostolica che sostituisc­a la Pastor Bonus di Giovanni Paolo II e che tematizzi quella che il teologo Werbick definiva una “conversion­e delle strutture”. Non solo la conversion­e dei singoli, o qualche aggiustame­nto funzionale, ma il cambiament­o istituzion­ale ed ecclesiale delle strutture stesse.

NEL 2016 Il Pontefice ha decentrato l’attenzione da Roma nel timore di una estinzione di ogni tensione creativa e di ogni identità delle Chiese locali

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