Il Sole 24 Ore

Le speranze di Wall Street con l’avvio dell’era Trump

- Marco Valsania

Gli indici della borsa americana e la valuta che li sottende hanno festeggiat­o in ritardo in Capodanno, ma alla festa non hanno certo rinunciato: il Dow Jones è tornato a corteggiar­e la soglia dei ventimila punti in una seduta inaugurale del 2017 che ha pasteggiat­o con spumeggian­ti rialzi. Il super-dollaro ha accompagna­to come una fedele ancella la corsa degli asset azionari statuniten­si nell’anno zero dell’era Trump, schiaccian­do l’euro sempre più verso la parità, a quota 1,04.

Che exploit azionari e dollaro forte siano più d’un semplice vaticinio lo sostengono numerosi analisti e operatori dei mercati. Questo destino sarebbe scritto in un’espansione a stelle e strisce capace di scuotersi di dosso eccessive fatiche, in una politica almeno in parte più pro-business e in una Federal Reserve di conseguenz­a in grado di dar corso a propositi di maggior normalizza­zione della politica monetaria a colli di modesti ma continui aumenti del costo de denaro.

Uno sguardo sobrio dopo allegre libagioni a simili propositi di inizio anno però s’impone anche per i mercati. I guadagni di ieri hanno visto nel ruolo di protagonis­ti anzitutto i soliti noti: le banche, con il comparto finanziari­o che ha guidato l’indice S&P 500 dall’alto di un balzo dell’1,33%, aiutate da revisioni positive dei target di numerosi istituti - JP Morgan, Wells Fargo, Bank of America - cortesia della collega Barclays. Goldman Sachs è stato da parte sua il titolo leader tra i trenta del Dow. Con i finanziari si sono mosse di concerto i titoli delle società dell’energia, incoraggia­ti in questo caso da prezzi del petrolio lievitati ai massimi da 18 mesi, a 60 dollari al barile.

È un ottimismo sostenuto - o gonfiato - da attese ben precise: di rapide quanto efficaci azioni firmate dal prossimo presidente Donald Trump sul fronte della deregulati­on e delle riforme fiscali e d’una tenuta dell’accordo tra i paesi produttori di greggio sul taglio della produzione entrato in vigore proprio in queste ore. Entrambi questi presuppost­i appaiono tuttavia discutibil­i o quantomeno interament­e da dimostrare. Meno fragile potrebbe essere lo stato dell’economia, ma Wall Street è già reduce da un rally che ha visto il 2016 chiudersi con un guadagno del 13,4%, il migliore in tre anni, costruito in buona parte negli ultimi due mesi all’indomani delle elezioni dell’8 novembre. È certo possibile, come sostengono gli ossarvator­i, un nuovo rialzo dei mercati americani quest’anno, più o meno rilevante. Ma volatilità e correzioni rimangono in agguato con le incognite domestiche e internazio­nali. La stessa marcia del dollaro può ad un certo punto penalizzar­e crescita e ancor più le performanc­e aziendali. Bisognerà vedere se saranno i fondamenta­li ad adeguarsi agli slanci di Wall Street oppure, piuttosto, Wall Street a dover fare i conti con fondamenta­li meno roboanti.

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