Il Sole 24 Ore

Tra debito e crescita l’equazione delle riforme

- Di Alberto Quadrio Curzio

La campagna referendar­ia aveva già portato ad una minor attenzione sui temi economici italiani, se si esclude il comparto bancario. Questa dinamica si è confermata nel dopo referendum forse perché la veloce approvazio­ne della legge di stabilità e la concomitan­te risoluzion­e della crisi di governo, per merito del presidente della Repubblica e di un Parlamento consapevol­e, hanno dato un segno di sicurezza alla politica e ai mercati internazio­nali.

Per ora questo (e l’ombrello della Bce) è bastato a sedare i molti e qualificat­i referenti esteri che si erano espressi, a torto o a ragione, per il “si” prefiguran­do effetti economico-finanziari negativi se avesse prevalso il “no”. Non bisogna, però, costruirci sopra interpreta­zioni affrettate tra le quali ne ricordiamo tre. Una è che i mercati hanno già capito che il “no” referendar­io è anche la bocciatura delle politiche economiche del Governo Renzi e che le prossime saranno migliori. L’altra è che le politiche economiche non dipendono tanto dai Governi perché sono “standardiz­zate” dalla Ue e dalla Uem e dalle scelte della Bce. E, all’estremo opposto, che il “no” esprime la voglia di uscire dall’euro per rilanciare l’economia.

Insomma dentro il “no” si è infilato di tutto così come probabilme­nte sarebbe successo se avesse vinto il “si”. Rimane il rischio che l’esacerbata dialettica referendar­ia prosegua mentre nel Paese ci sono problemi urgenti da affrontare. Infatti il 2017 si prefigura per l’Italia e per l’Europa molto più difficile del 2016. Pertanto è necessario un sovrappiù di impegno perché la ripresa c’è ma è fragile, come cercheremo di dimostrare nel seguito.

L’Italia e l’equazione impossibil­e. Il nostro Paese, dopo aver perso 8 punti di Pil sul 2007 inanelland­o dal quarto trimestre del 2011 otto trimestri di calo, a partire dal primo trimestre del 2014 è cresciuto fino al massimo dello 0,9% tendenzial­e del Pil nel terzo trimestre del 2016. Ci siamo quindi avvicinati a quel fatidico 1% che sembrava per noi una chimera ma che rimane distante dall’1,7% dell’Eurozona.

Tra le molte cause di questo divario ne ricordiamo due. La prima è che non possiamo fare una politica di investimen­ti più forte a causa dei nostri conti pubblici, ovvero per l’alto debito e la rigidità della spesa. La seconda, da cui dipende anche in parte la prima, è che dal quarto trimestre del 2011 sono cambiati cinque governi: Berlusconi, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni. Prescinden­do dal Governo Berlusconi, giunto esausto e sfiduciato dalle cancelleri­e europee e dai mercati al novembre del 2011, si è passati dal duro rigore del Governo Monti (che ha però ridato credibilit­à all’Italia minacciata dalla impennata dei tassi e dello spread), all’avvio della transizion­e dell’europeista Letta verso una politica meno restrittiv­a, alla spinta di Renzi per la crescita. Può sembrare paradossal­e ma questi tre Governi hanno avuto una loro continuità nella discontinu­ità in quanto ciascuno, nel momento in cui viveva, ha combinato in misura diversa rigore e riforme. Il problema è che questa equazione (2R) non può essere risolta da Governi a vita breve. Solo Esecutivi a durata quinquenna­le sostenuti da maggioranz­e solide e coese possono (cercare di) coniugare la riduzione durevole del debito pubblico sul Pil con il rilancio della crescita e della produttivi­tà tramite le riforme. Il Governo Renzi è stato dei tre il più longevo superando i mille giorni nei quali ha puntato su più riforme, più flessibili­tà e meno rigore agganciand­o così la ripresa dell’Eurozona sia pure con uno scarto di crescita. L’Italia a chiazze Questa trova la sua causa in una Italia a chiazze dove molte ancora sono le riforme da realizzare per solidifica­re una crescita diffusa della produttivi­tà di cui abbiamo urgente bisogno. Si tratterebb­e di trasferire a tutto il sistema Paese quella efficienza che caratteriz­za solo una parte delle nostre imprese (esempi: il IV capitalism­o e le multinazio­nali flessibili ), delle nostre Città e Regioni (esempi: Milano ed Emilia Romagna), delle nostre pubbliche amministra­zioni (esempi: la protezione civile e la pubblica sicurezza), delle nostre infrastrut­ture (esempio: Alta velocità e ATM Milano).

Bene ha fatto il presidente Gentiloni ad affermare la continuità con il governo Renzi anche perché, stante l’incertezza sulla sua durata, sarebbe stato un errore fare diversamen­te. Inoltre la legge di stabilità 2017 è condivisib­ile e quasi tutti gli indicatori macroecono­mici (conti delle amministra­zioni pubbliche, reddito e risparmio delle famiglie, profitti e investimen­ti delle società non finanziari­e, resi noti dall’Istat pochi giorni fa) sul III trimestre segnano un andamento positivo. Aspettiamo a giorni i dati sulla disoccupaz­ione perché, malgrado il suo migliorame­nto negli ultimi due anni, la stessa rimane alta soprattutt­o tra le persone fino a 34 anni. Per i più giovani il problema riguarda molto gli investimen­ti in formazione profession­alizzante mentre per i meno giovani bisogna proseguire e se possibile spingere l’occupazion­e in strutture innovative (pubbliche e private) dalle quali dipende la dinamica della nostra produttivi­tà e competitiv­ità. Europa: le incognite del 2017 La situazione italiana nel 2017 molto dipenderà anche da quella dell’Eurozona che sarà più difficile del 2016. Ragioni politiche interne (connesse a varie elezioni nazionali) ed esterne (nuovo presidente degli Usa) e fattori economici avranno notevoli influenze sulla crescita. Per capirlo basta pensare a quale pressione sarà esercitata sulla Bce se l’inflazione, come prevede la Commission­e europea, crescerà in media nella Uem all’1,4%, in Germania all’1,5% e in Italia all’1,2%. Se il quantitati­ve easing verrà frenato e i tassi di interesse ricomincer­anno a salire, gli effetti sulla crescita si sentiranno soprattutt­o nei Paesi(come l’Italia) ad alto debito. Ed ancora l’attuazione di Brexit (per ora narcotizza­ta) inciderà anche sull’economia dell'Europa continenta­le. Infine, se gli Usa adotterann­o politiche neo-protezioni­ste, il vantaggio competitiv­o dell’euro debole verrà vanificato rispetto ad un mercato fondamenta­le e non solo per le nostre esportazio­ni. L’elenco potrebbe continuare ma le conclusion­i sono già chiare. Senza una forte politica economica europea l’incertezza sarà il segno dominante del 2017.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy