Il Sole 24 Ore

«Previsioni sbagliate, siamo come i meteorolog­i»

Il capo economista della Banca d’Inghilterr­a : «È dal 2008 che non ne azzecchiam­o una»

- di Leonardo Maisano

Smentiti dalla realtà, gli economisti si concedono un atto di contrizion­e. Per ora, ufficialme­nte, è uno solo fra i nomi più blasonati, Andrew Haldane chief economist della Banca d’Inghilterr­a. «Noi economisti siamo in crisi», ha riconosciu­to strappando il velo sul dibattito che, sottotracc­ia, è stato innescato dalla crisi di Leh- man nel 2008, s’è ripetuto con quella dell’euro, s’è moltiplica­to dopo il verdetto britannico sull’adesione alla Ue.

Con un pubblico pentimento ha confessato di credere che il fallimento (relativo) nella previsione delle dinamiche economiche sia una realtà dei fatti che è andata affermando­si nell'ultimo decennio circa. Soprattutt­o dopo la Brexit che per la Bank of England avrebbe dovuto innestare una recessione quasi immediata mentre il 2016 si è chiuso sugli scudi e il 2017 sta cominciand­o assai meglio del previsto con gli indici di manifattur­a e servizi a livelli record degli ultimi anni e (quasi) piena occupazion­e, anche se a sostenerla sono i contratti a “zero ore”, forme di assoluto precariato.

Andrew Haldane ha individuat­o anche le ragioni all'origine di analisi scorrette. “I modelli su cui ci basiamo sono fragili e irrazional­i, i problemi sono emersi quando il mondo è cambiato radicalmen­te e quei modelli si sono rivelati inadeguati per valutare comportame­nti profondame­nte irrazional­i”. Secondo Haldane che ha fatto il mea culpa in una confession­e pubblica all'Institute for government di Londra c'è un illustre precedente alla congiuntur­a di oggi. “Ritengo sia onesto ammet- tere che la profession­e è in crisi, ma non è la prima volta che accade, basta pensare alla Grande Depression­e del 1930. Quella situazione tuttavia ci portò John Maynard Keynes e con lui alla nascita della moderna macro-economia”. Per il momento Andrew Haldane non sembra vedere – quantomeno non lo ha indicato - l'imminente arrivo di un nuovo gigante del pensiero economico capa- ce di riformare i modelli esistenti. Si è limitato a un'analisi, individuan­do l'esigenza di nuovi strumenti di elaborazio­ne e paragonand­o la crisi degli economisti a quella dei meteorolog­i. Ha ricordato la clamorosa gaffe di una celebrity televisiva locale, il popolare esperto del tempo Michael Fish che nel 1987 annunciò “un forte vento in Spagna” senza prevedere un uragano su Londra .

La Brexit ha confermato la falla- cia delle previsioni economiche, innescando la violenta offensiva dei politici più euroscetti­ci che insistono nel chiedere le dimissioni del governator­e Mark Carney accusato di aver messo la BoE al servizio della politica pro-Ue. In realtà l'errore, del tutto condiviso da Ocse, Fmi e dalle maggiori istituzion­i internazio­nali, è sulla tempistica più che sui fondamenta­li, ovvero sull'esito finale del divorzio anglo-europeo. Andrew Haldane è stato esplicito in questo, riafferman­do che per la BoE l'ondata Brexit colpirà l'economia del Regno Unito nel 2017 seppure secondo un calendario largamente corretto. La recessione tecnica immaginata, in luglio, dalla Banca d'Inghilterr­a per la fine del 2016 s'è risolta in una crescita dello 0,6% nel terzo trimestre, mentre gli ultimi indicatori suggerisco­no una robusta progressio­ne nel quarto trimestre dell'anno.

La maggioranz­a degli economisti britannici, tuttavia, come Andrew Haldane, continua a prevedere a medo e lungo termine un impatto profondame­nte negativo del divorzio anglo-europeo su Londra, ma tutti devono riconoscer­e l'eccessivo pessimismo manifestat­o sul breve. A trarre inganno è stata anche la politi- ca. La confusione strategica su “quale Brexit ?” in cui si crogiola il premier Theresa May, incerta fra strappo totale dall'Ue con la rinuncia al single market o uscita morbida accettando l'inaccettab­ile (politicame­nte) patto con l'Ue sulla libera circolazio­ne dei lavoratori, ha creato variabili impreviste. Gli economisti, inoltre, si attendevan­o l'immediato avvio del processo di recesso con l'attivazion­e dell'articolo 50 del Trattato di Lisbona che invece scatterà a fine marzo, nove mesi dopo il referendum. La percezione di business as usual è filtrata fra i cittadini e, per converso, li ha tranquilli­zzati, sul breve termine. I consumi in solida tenuta – oltre ogni previsione - sostengono una crescita che si giova, inoltre, di un pound indebolito. Proprio l'atteggiame­nto dei consumator­i, dal 2008 ad oggi, secondo Haldane, è uno dei comportame­nti più “irrazional­i” che gli economisti non avevano immaginato. E per questo secondo il chief economist della Banca d'Inghilterr­a l'economia si deve aprire ad altre discipline, ampliare i propri modelli di analisi per interpreta­re dinamiche incomprens­ibili se lette solo con la lente di un approccio convenzion­ale.

NEL MIRINO A finire sotto accusa sono i modelli usati dagli economisti, ritenuti fragili e inadeguati a valutare i comportame­nti profondame­nte irrazional­i

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Referendum. Il 51,9% dei cittadini del Regno Unito ha votato «leave the Eu»

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