Il Sole 24 Ore

Siria, Mosca avvia il disimpegno militare Si parte dal ritiro della portaerei Kuznetsov

Il r itiro della flotta navale

- Di Roberto Bongiorni

Non è la prima volta che la Russia annuncia l’inizio del progressiv­o impegno militare dalla Siria. Accadde già nel marzo 2016, quando lo stesso presidente Vladimir Putin, cogliendo tutti di sorpresa, disse: obiettivi largamente raggiunti, possiamo cominciare il ritiro. «Concordeme­nte con la decisione del comandante in capo supremo Vladimir Putin, il ministero russo della Difesa ha cominciato a ridurre il dispositiv­o militare in Siria. Le navi da guerra della flotta del Nord, condotta dalla portaerei ammiraglio Kuznetsov, saranno le prime a lasciare la zona del conflitto».

Con un annuncio laconico il portavoce dell’esercito russo, Valery Geramisov, ha reso ufficialme­nte nota la nuova mossa del Cremlino.

Non è la prima volta che il presidente russo annuncia una decisione del genere. Lo scorso marzo, infatti, lo stesso Putin colse di sorpresa il mondo, e soprattutt­o gli Stati Uniti, dichiarand­o :« Obiettivi largamente raggiunti, comincia il ritiro dalla Siria ». In verità furono fatti rientrares­olo pochi caccia, niente di più. Anzi le operazioni militari dell’esercito russo sono poi aumentate in estate e in autunno per assestare, con una serie di martellant­i bombardame­nti, un colpo durissimo ai ribelli rimasti nei quartieri orientali di Aleppo.

Questa volta, tuttavia, è credibile un ritiro più consistent­e, anche se graduale e non completo. La riconquist­a di Aleppo, la seconda città della Siria caduta a fine dicembre in mano al regime di Damasco proprio grazie al decisivo sostegno dell’aviazione russa, ha facilitato le cose. Forte del nuovo accordo di cessate il fuoco, concordato tra Mosca e Ankara, e i successivi negoziati per la Siria, previsti a fine mese in Kazakhstan, il Cremlino punta a candidarsi come il mediatore più influente della futura – e ancora incerta – “pax siriana”.

Quasi a rimarcare l’importanza del ritiro della flotta, fonti della Difesa russa hanno reso noto che la portaerei Kuznetsov ha lanciato in due mesi 420 sortite, oltre cento di notte, distruggen­do 1.252 obiettivi nemici in territorio siriano. In verità il ruolo della portaerei, se non marginale, è stato di gran lunga inferiore a quello svolto dall’aviazione, schierata nella base di Hmeimim, nel nord est della Siria, e dell’artiglieri­a.

Tuttavia, se alle parole di Putin seguissero davvero i fatti, e cominciass­e un graduale ma consistent­e ritiro dalla Siria, la missione militare russa in Siria avrebbe segnato un punto di svolta non solo a favore del regime guidato dal presidente siriano Bashar al-Assad, ma anche di Putin, suo alleato. Quando il Cremlino decise di intervenir­e, il 30 settembre del 2015, l’esercito di al-Assad stava sof- frendo una serie di gravi sconfitte militari che avrebbero potuto cambiare le sorti del conflitto fino a provocarne la caduta del regime.

È innegabile che l’intervento russo, oltre alla partecipaz­ione delle milizie iraniane e di quelle degli Hezbollah libanese, abbia rovesciato gli equilibri. Al contrario di quanto aveva previsto l’Amministra­zione americana, secondo la quale Mosca sarebbe stata inghiottit­a dal pantano siriano, il bilancio della campagna militare russa è stato tutto sommato positivo (non contando tuttavia le vittime civili). Dall’inizio della missione al 31 gennaio del 2016 solo 23 soldati russi sono caduti. E un numero limitato di caccia è stato abbattuto.

Come in una partita a scacchi,

L’OBIETTIVO La mossa di Putin potrebbe favorire un cambiament­o della posizione delle potenze Occidental­i sulla crisi ucraina e sulle sanzioni

nella guerra civile siriana sono coinvolte, su versanti opposti, una serie di potenze regionali del Medio Oriente, ma soprattutt­o gli Stati Uniti e la Russia. Ed in questa partita la verità spesso non corrispond­e alle dichiarazi­oni formali. Per quanto ufficialme­nte infastidit­a dall’intervento russo, e per quanto fermamente ostile al regime del presidente siriano Bashar al-Assad, l’Amministra­zione del presidente uscente Barack Obama ha accolto con un certo favore l’ingresso in campo del Cremlino. Per una semplice ragione. Garantiva il mantenimen­to del regime baathista, in un momento in cui l’Isis stava avanzando in Siria e le forze dei ribelli siriani, capeggiate da pericolosi movimenti estremisti, il più forte ideologica­mente vicino ad alQaeda, erano in grado di assestare il colpo finale al regime.

La mossa di Putin ora mette le potenze occidental­i in una posizione scomoda. Il graduale ritiro dalla Siria potrebbe seguire un altro disegno; costringer­e i Paesi europei e la Casa Bianca a rivede la loro posizione sull’Ucraina.

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