Siria, Mosca avvia il disimpegno militare Si parte dal ritiro della portaerei Kuznetsov
Il r itiro della flotta navale
Non è la prima volta che la Russia annuncia l’inizio del progressivo impegno militare dalla Siria. Accadde già nel marzo 2016, quando lo stesso presidente Vladimir Putin, cogliendo tutti di sorpresa, disse: obiettivi largamente raggiunti, possiamo cominciare il ritiro. «Concordemente con la decisione del comandante in capo supremo Vladimir Putin, il ministero russo della Difesa ha cominciato a ridurre il dispositivo militare in Siria. Le navi da guerra della flotta del Nord, condotta dalla portaerei ammiraglio Kuznetsov, saranno le prime a lasciare la zona del conflitto».
Con un annuncio laconico il portavoce dell’esercito russo, Valery Geramisov, ha reso ufficialmente nota la nuova mossa del Cremlino.
Non è la prima volta che il presidente russo annuncia una decisione del genere. Lo scorso marzo, infatti, lo stesso Putin colse di sorpresa il mondo, e soprattutto gli Stati Uniti, dichiarando :« Obiettivi largamente raggiunti, comincia il ritiro dalla Siria ». In verità furono fatti rientraresolo pochi caccia, niente di più. Anzi le operazioni militari dell’esercito russo sono poi aumentate in estate e in autunno per assestare, con una serie di martellanti bombardamenti, un colpo durissimo ai ribelli rimasti nei quartieri orientali di Aleppo.
Questa volta, tuttavia, è credibile un ritiro più consistente, anche se graduale e non completo. La riconquista di Aleppo, la seconda città della Siria caduta a fine dicembre in mano al regime di Damasco proprio grazie al decisivo sostegno dell’aviazione russa, ha facilitato le cose. Forte del nuovo accordo di cessate il fuoco, concordato tra Mosca e Ankara, e i successivi negoziati per la Siria, previsti a fine mese in Kazakhstan, il Cremlino punta a candidarsi come il mediatore più influente della futura – e ancora incerta – “pax siriana”.
Quasi a rimarcare l’importanza del ritiro della flotta, fonti della Difesa russa hanno reso noto che la portaerei Kuznetsov ha lanciato in due mesi 420 sortite, oltre cento di notte, distruggendo 1.252 obiettivi nemici in territorio siriano. In verità il ruolo della portaerei, se non marginale, è stato di gran lunga inferiore a quello svolto dall’aviazione, schierata nella base di Hmeimim, nel nord est della Siria, e dell’artiglieria.
Tuttavia, se alle parole di Putin seguissero davvero i fatti, e cominciasse un graduale ma consistente ritiro dalla Siria, la missione militare russa in Siria avrebbe segnato un punto di svolta non solo a favore del regime guidato dal presidente siriano Bashar al-Assad, ma anche di Putin, suo alleato. Quando il Cremlino decise di intervenire, il 30 settembre del 2015, l’esercito di al-Assad stava sof- frendo una serie di gravi sconfitte militari che avrebbero potuto cambiare le sorti del conflitto fino a provocarne la caduta del regime.
È innegabile che l’intervento russo, oltre alla partecipazione delle milizie iraniane e di quelle degli Hezbollah libanese, abbia rovesciato gli equilibri. Al contrario di quanto aveva previsto l’Amministrazione americana, secondo la quale Mosca sarebbe stata inghiottita dal pantano siriano, il bilancio della campagna militare russa è stato tutto sommato positivo (non contando tuttavia le vittime civili). Dall’inizio della missione al 31 gennaio del 2016 solo 23 soldati russi sono caduti. E un numero limitato di caccia è stato abbattuto.
Come in una partita a scacchi,
L’OBIETTIVO La mossa di Putin potrebbe favorire un cambiamento della posizione delle potenze Occidentali sulla crisi ucraina e sulle sanzioni
nella guerra civile siriana sono coinvolte, su versanti opposti, una serie di potenze regionali del Medio Oriente, ma soprattutto gli Stati Uniti e la Russia. Ed in questa partita la verità spesso non corrisponde alle dichiarazioni formali. Per quanto ufficialmente infastidita dall’intervento russo, e per quanto fermamente ostile al regime del presidente siriano Bashar al-Assad, l’Amministrazione del presidente uscente Barack Obama ha accolto con un certo favore l’ingresso in campo del Cremlino. Per una semplice ragione. Garantiva il mantenimento del regime baathista, in un momento in cui l’Isis stava avanzando in Siria e le forze dei ribelli siriani, capeggiate da pericolosi movimenti estremisti, il più forte ideologicamente vicino ad alQaeda, erano in grado di assestare il colpo finale al regime.
La mossa di Putin ora mette le potenze occidentali in una posizione scomoda. Il graduale ritiro dalla Siria potrebbe seguire un altro disegno; costringere i Paesi europei e la Casa Bianca a rivede la loro posizione sull’Ucraina.