Scoprirsi fratelli Il Dna ci dice che non siamo razzisti
Si sa. A meno di non essere dei replicanti incalliti, i periodi di vacanze offrono tante belle opportunità: letture, incontri, riposo, conoscenze nuove. Soprattutto viaggi e quindi la possibilità di “fare” i turisti.
Il viaggio è spesso fuga dalla routine quotidiana, è occasione di “cambiare aria”. Così chi vive in città preferisce mete più tranquille, chi vive al mare va in montagna e viceversa. Nella cultura contemporanea sempre più spesso si parla di viaggi specifici e di turismo a tema, non sempre positivi. Sono nati così il turismo culturale, il turismo enogastronomico, il turismo commerciale (per lo shopping), il vergognoso e mai sufficientemente perseguito turismo sessuale, l'autodistruttivo turismo della droga. Si studia Economia del Turismo in corsi di laurea dell'ordinamento universitario italiano e si studia management turistico anche nei master.
Ma il viaggio può essere anche altro, soprattutto quando si è disposti a capire che “fare” i turisti non significa sempre “essere” turisti. In tedesco “viaggiare” ( fahren) ha la stessa radice di “fare esperienza” ( erfahren). Quasi a dire che solo il viaggio che diventa esperienza attraverso l’incontro con la realtà e concreto interagire con la varietà degli elementi che la compongono trasferisce al “turista” una vera e propria ricchezza, non facilmente comunicabile perché fatta di emozioni e di partecipazione che trasformano per lo più il turista in pellegrino. Laddove il termine “pellegrino” non esaurisce la sua portata semantica nell'ambito strettamente religioso.
Da “turista” a “pellegrino”: trasformazione preclusa a chi presumere di sapere già tutto e prevede sempre “come andrà a finire”. A questi, al posto di intraprendere un viaggio basterebbe fornirsi di una buona “guida turistica”, tanto mancano i presupposti per farne un pellegrino della/nella vita. Ciò che vede - per quanto bello e straordinario - non gli cambierà mai la vita; né la sua presenza in quel luogo contribuirà a cambiare quel luogo. Il turista incapace di sentirsi anche un po’ pellegrino non trasforma in meglio i luoghi visitati, può solo rovinarli o sfruttarli per il proprio tornaconto. Il pellegrino, invece, trasforma i luoghi della visita e li arricchisce. Devo confessare, a questo proposito, che a me piacciono tanto i luoghi nei quali vengono esposti gli ex voto dei pellegrini perché portatori di storie drammatiche vissute, di speranze realizzate e di vita ritrovata.
Chi fa il turista spesso vede i monumenti del luogo visitato per scattare una foto (che non rivedrà mai più o solo raramente) e per poter dire agli altri “io ci sono stato”. Il turista/pellegrino, al contrario, viaggia per incontrare culture e costumi diversi rappresentati dai tanti volti che si incontrano, dalle tante strade che si percorrono, dalle pietanze che si assaggiano. Sì, perché il turista/pellegrino è disponibile all’incontro e all’adattamento; è pronto lasciare a casa le sicurezze e le comodità per aprirsi a esperienze nuove, a nuovi scenari, a nuovi sapori e nuovi odori, a nuovi suoni fino a capire che le differenze fra i popoli e le culture sono molto meno delle similitudini. Oggi non si viaggia più che in passato. Si fa turismo più che in passato. Uno studio effettuato su poco più di 7mila residenti in 18 Paesi di varie nazionalità dei cinque continenti, afferma che attualmente nonostante ci siano più mezzi che nel passato (di trasporto, economici, tecnologici) per accorciare le distanze (fisiche, geografiche e umane), la diffidenza e i pregiudizi nei confronti dei paesi “stranieri” negli ultimi anni è aumentata rispetto a cinque anni fa raggiungendo il 48%.
Ad aprile scorso, durante il Dna Journey, 67 persone provenienti da tutto il mondo sono state invitate a partecipare a un progetto che prevedeva di sottoporsi al test del Dna per scoprire di più sulle proprie origini (http://www.momondo.it/ ispirazione/the-dna-journey-celebra-ladiversita/#Tx6RLqCjZeriRRVo.9).
«Sono fiero di essere Inglese: la mia famiglia ha servito la patria e siamo stati in guerra per questo Paese. Penso che il mio sia il migliore paese del mondo; in tutta onestà». «Sono 100% Islandese, sì, sicuramente». «Sono molto patriottico nei confronti del mio paese, il Bangladesh». «Io sono Curda, mia madre indossa il costume tipico curdo». «Siamo fieri di essere neri. Tutto qua». «Da Francese appartengo, senza ombra di dubbio, al popolo migliore del mondo». Sono le prime dichiarazioni di alcuni degli intervistati.
Sollecitati dai ricercatori a pensare ad altri paesi e ad altre nazionalità del mondo, a tutti è stato chiesto se ci fossero dei paesi con cui pensavano di non poter andare d’accordo o che non piacevano molto. “I tedeschi!” Rispose l’Inglese. Dal Bangladesh l’uomo intervistato rispose: «Soprattutto l’India e il Pakistan, soprattutto per via del conflitto». La Curda, con fatica, dichiarò che esiste una parte di lei che odia i Turchi, ma precisa: «Non il popolo turco, ma il governo turco». A un africano fu chiesto cosa pensasse dei Francesi e l’unica risposta è stata un «No... meglio non pensare ai Francesi». La donna francese ribadì: «Siamo i migliori del mondo, è un dato di fatto». L’Irlandese dichiarò alla commissione: «Non vi conosco ma so di essere forte e sono più importante di molte persone. Forse anche di voi».
Dopo la raccolta delle informazioni generali a tutti è stato chiesto di intraprendere un viaggio “virtuale” attraverso il proprio Dna che rappresenta l’eredità “genetica” proveniente dai genitori i quali l’hanno ricevuta dai loro genitori e così a ritroso nel tempo. Il Dna raccoglie tutti i frammenti dei nostri avi e fanno di noi le persone che siamo. Durante la raccolta del Dna, l’Inglese, la donna francese, il Cubano, la Curda, tutti dichiararono di non avere paura a intraprendere questo viaggio. Riconvocati per ricevere gli esiti dell’esame, i risultati furono sorprendenti. La Curda scoprì di avere discendenze turche, l’islandese che era per il 32% proveniente dall’Italia, Spagna e Grecia e che nel suo Dna c’erano tracce anche di popoli dell’Europa dell’Est; la donna francese scoprì le sue origini inglesi; l’Inglese per il 5% era tedesco. Il Tedesco, un po’ musulmano; il Bengalese un po’ Inglese. Altro che razza pura!
So che può apparire un po’ cervellotico e forse anche un tantino problematico. Però ho pensato che, forse, se facessimo tutti un ...pellegrinaggio attraverso il nostro Dna per scoprire le nostre origini, e le origini delle nostre origini, la smetteremmo una buona volta con atteggiamenti e parole che grondano razzismo e sentimenti di stupida superiorità. Scopriremmo anzi di essere tutti “parenti alla lontana”, lontani ...cugini. E che, anche grazie alla verità “scientifica”, abbiamo in comune con gli altri popoli molto più di quanto si possa immaginare. Con buona pace di chi pensa di difendere le diversità alzando barriere e costruendo muri o di chi progetta di conquistare di territori terrorizzando e uccidendo giovani che la prima notte dell’anno volevano soltanto divertirsi.
SCOPRIRSI FRATELLI Abbiamo in comune con gli altri popoli molto più di quanto si possa immaginare, con buona pace di chi pensa di difendere le diversità alzando muri
Nunzio Galantino è Segretario generale Cei
e vescovo emerito di Cassano all’Jonio