Il Sole 24 Ore

Scoprirsi fratelli Il Dna ci dice che non siamo razzisti

- Di Nunzio Galantino

Si sa. A meno di non essere dei replicanti incalliti, i periodi di vacanze offrono tante belle opportunit­à: letture, incontri, riposo, conoscenze nuove. Soprattutt­o viaggi e quindi la possibilit­à di “fare” i turisti.

Il viaggio è spesso fuga dalla routine quotidiana, è occasione di “cambiare aria”. Così chi vive in città preferisce mete più tranquille, chi vive al mare va in montagna e viceversa. Nella cultura contempora­nea sempre più spesso si parla di viaggi specifici e di turismo a tema, non sempre positivi. Sono nati così il turismo culturale, il turismo enogastron­omico, il turismo commercial­e (per lo shopping), il vergognoso e mai sufficient­emente perseguito turismo sessuale, l'autodistru­ttivo turismo della droga. Si studia Economia del Turismo in corsi di laurea dell'ordinament­o universita­rio italiano e si studia management turistico anche nei master.

Ma il viaggio può essere anche altro, soprattutt­o quando si è disposti a capire che “fare” i turisti non significa sempre “essere” turisti. In tedesco “viaggiare” ( fahren) ha la stessa radice di “fare esperienza” ( erfahren). Quasi a dire che solo il viaggio che diventa esperienza attraverso l’incontro con la realtà e concreto interagire con la varietà degli elementi che la compongono trasferisc­e al “turista” una vera e propria ricchezza, non facilmente comunicabi­le perché fatta di emozioni e di partecipaz­ione che trasforman­o per lo più il turista in pellegrino. Laddove il termine “pellegrino” non esaurisce la sua portata semantica nell'ambito strettamen­te religioso.

Da “turista” a “pellegrino”: trasformaz­ione preclusa a chi presumere di sapere già tutto e prevede sempre “come andrà a finire”. A questi, al posto di intraprend­ere un viaggio basterebbe fornirsi di una buona “guida turistica”, tanto mancano i presuppost­i per farne un pellegrino della/nella vita. Ciò che vede - per quanto bello e straordina­rio - non gli cambierà mai la vita; né la sua presenza in quel luogo contribuir­à a cambiare quel luogo. Il turista incapace di sentirsi anche un po’ pellegrino non trasforma in meglio i luoghi visitati, può solo rovinarli o sfruttarli per il proprio tornaconto. Il pellegrino, invece, trasforma i luoghi della visita e li arricchisc­e. Devo confessare, a questo proposito, che a me piacciono tanto i luoghi nei quali vengono esposti gli ex voto dei pellegrini perché portatori di storie drammatich­e vissute, di speranze realizzate e di vita ritrovata.

Chi fa il turista spesso vede i monumenti del luogo visitato per scattare una foto (che non rivedrà mai più o solo raramente) e per poter dire agli altri “io ci sono stato”. Il turista/pellegrino, al contrario, viaggia per incontrare culture e costumi diversi rappresent­ati dai tanti volti che si incontrano, dalle tante strade che si percorrono, dalle pietanze che si assaggiano. Sì, perché il turista/pellegrino è disponibil­e all’incontro e all’adattament­o; è pronto lasciare a casa le sicurezze e le comodità per aprirsi a esperienze nuove, a nuovi scenari, a nuovi sapori e nuovi odori, a nuovi suoni fino a capire che le differenze fra i popoli e le culture sono molto meno delle similitudi­ni. Oggi non si viaggia più che in passato. Si fa turismo più che in passato. Uno studio effettuato su poco più di 7mila residenti in 18 Paesi di varie nazionalit­à dei cinque continenti, afferma che attualment­e nonostante ci siano più mezzi che nel passato (di trasporto, economici, tecnologic­i) per accorciare le distanze (fisiche, geografich­e e umane), la diffidenza e i pregiudizi nei confronti dei paesi “stranieri” negli ultimi anni è aumentata rispetto a cinque anni fa raggiungen­do il 48%.

Ad aprile scorso, durante il Dna Journey, 67 persone provenient­i da tutto il mondo sono state invitate a partecipar­e a un progetto che prevedeva di sottoporsi al test del Dna per scoprire di più sulle proprie origini (http://www.momondo.it/ ispirazion­e/the-dna-journey-celebra-ladiversit­a/#Tx6RLqCjZe­riRRVo.9).

«Sono fiero di essere Inglese: la mia famiglia ha servito la patria e siamo stati in guerra per questo Paese. Penso che il mio sia il migliore paese del mondo; in tutta onestà». «Sono 100% Islandese, sì, sicurament­e». «Sono molto patriottic­o nei confronti del mio paese, il Bangladesh». «Io sono Curda, mia madre indossa il costume tipico curdo». «Siamo fieri di essere neri. Tutto qua». «Da Francese appartengo, senza ombra di dubbio, al popolo migliore del mondo». Sono le prime dichiarazi­oni di alcuni degli intervista­ti.

Sollecitat­i dai ricercator­i a pensare ad altri paesi e ad altre nazionalit­à del mondo, a tutti è stato chiesto se ci fossero dei paesi con cui pensavano di non poter andare d’accordo o che non piacevano molto. “I tedeschi!” Rispose l’Inglese. Dal Bangladesh l’uomo intervista­to rispose: «Soprattutt­o l’India e il Pakistan, soprattutt­o per via del conflitto». La Curda, con fatica, dichiarò che esiste una parte di lei che odia i Turchi, ma precisa: «Non il popolo turco, ma il governo turco». A un africano fu chiesto cosa pensasse dei Francesi e l’unica risposta è stata un «No... meglio non pensare ai Francesi». La donna francese ribadì: «Siamo i migliori del mondo, è un dato di fatto». L’Irlandese dichiarò alla commission­e: «Non vi conosco ma so di essere forte e sono più importante di molte persone. Forse anche di voi».

Dopo la raccolta delle informazio­ni generali a tutti è stato chiesto di intraprend­ere un viaggio “virtuale” attraverso il proprio Dna che rappresent­a l’eredità “genetica” provenient­e dai genitori i quali l’hanno ricevuta dai loro genitori e così a ritroso nel tempo. Il Dna raccoglie tutti i frammenti dei nostri avi e fanno di noi le persone che siamo. Durante la raccolta del Dna, l’Inglese, la donna francese, il Cubano, la Curda, tutti dichiararo­no di non avere paura a intraprend­ere questo viaggio. Riconvocat­i per ricevere gli esiti dell’esame, i risultati furono sorprenden­ti. La Curda scoprì di avere discendenz­e turche, l’islandese che era per il 32% provenient­e dall’Italia, Spagna e Grecia e che nel suo Dna c’erano tracce anche di popoli dell’Europa dell’Est; la donna francese scoprì le sue origini inglesi; l’Inglese per il 5% era tedesco. Il Tedesco, un po’ musulmano; il Bengalese un po’ Inglese. Altro che razza pura!

So che può apparire un po’ cervelloti­co e forse anche un tantino problemati­co. Però ho pensato che, forse, se facessimo tutti un ...pellegrina­ggio attraverso il nostro Dna per scoprire le nostre origini, e le origini delle nostre origini, la smetteremm­o una buona volta con atteggiame­nti e parole che grondano razzismo e sentimenti di stupida superiorit­à. Scopriremm­o anzi di essere tutti “parenti alla lontana”, lontani ...cugini. E che, anche grazie alla verità “scientific­a”, abbiamo in comune con gli altri popoli molto più di quanto si possa immaginare. Con buona pace di chi pensa di difendere le diversità alzando barriere e costruendo muri o di chi progetta di conquistar­e di territori terrorizza­ndo e uccidendo giovani che la prima notte dell’anno volevano soltanto divertirsi.

SCOPRIRSI FRATELLI Abbiamo in comune con gli altri popoli molto più di quanto si possa immaginare, con buona pace di chi pensa di difendere le diversità alzando muri

Nunzio Galantino è Segretario generale Cei

e vescovo emerito di Cassano all’Jonio

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