Il Sole 24 Ore

«Dal 2010 creati più posti che in tutto il G -7»

Boom del lavoro e incrementi salariali con l’amministra­zione Obama

- Marco Valsania

Il mercato del lavoro americano ha salutato il 2016 e celebrato il Capodanno 2017 dando prova di continui migliorame­nti, anche se la creazione di occupazion­e ha frenato il passo in dicembre. Il mese scorso l’economia statuniten­se ha aggiunto 156.000 impieghi, meno dei 175.000 previsti, e il tasso dei senza lavoro è lievitato di 0,1 punti al 4,7 per cento. Ma la percentual­e dei disoccupat­i è stata la più bassa a fine anno dal 2006 e dicembre è stato il 75esimo mese positivo consecutiv­o per le assunzioni, un record storico. Soprattutt­o, anche i salari - finora tra i talloni d’Achille del risanament­o occupazion­ale - hanno messo a segno un incremento significat­ivo: il 2,9% su base annua- le, il massimo dal 2009.

L’amministra­zione di Barack Obama, che concluderà il secondo mandato il 20 gennaio, si è accomiatat­a citando l’occupazion­e quale simbolo significat­ivo dei successi della ripresa americana. «Gli Stati Uniti hanno messo nuovamente al lavoro più persone di tutte le economie degli altri paesi del G-7 sommate assieme», ha affermato il consiglier­e della Casa Bianca Jason Furman in una dichiarazi­one intitolata «Otto anni di progressi» che ha sottolinea­to come, durante l’intera ripresa, siano state ormai create dal business 15,8 milioni di nuove buste paga. Rispetto agli inizi della presidenza Obama nel 2009, quando si trovava al 7,8%, la disoccupaz­ione, è drasticame­nte scesa. Ed è diminuita ancor più, meglio che dimezzata, da picchi post-crisi oltre il 10 per cento. Non basta: il totale dei posti nel settore privato oggi supera di ben sette milioni la cifra pre-recessione.

Secondo Loretta J. Mester, presidente della Fed di Cleveland, la piena occupazion­e è stata praticamen­te raggiunta negli otto anni dell’amministra­zione Obama.

«È un dato solido», conferma Mickey Levy di Berenberg, riassumend­o un giudizio condiviso dalla maggior parte degli anali- sti e operatori di Wall Street. Levy evidenzia che, se la creazione di posti ha rallentato in dicembre, sono stati rivisti al rialzo i dati dei due mesi precedenti, per un totale di ulteriori 19mila impieghi. Il tasso allargato di disoccupaz­ione e sotto-occupazion­e è inoltre diminuito al 9,2%, il minimo da aprile 2008.

La performanc­e del mercato del lavoro dovrebbe invitare la Federal Reserve a mantenere nervi saldi nel cammino di normalizza­zione della politica monetaria.

Janet Yellen e i suoi colleghi hanno aumentato i tassi d’interesse in dicembre - di un quarto di punto allo 0,50-0,75% - e indicato d’essere pronti a tre strette nel 2017, incoraggia­ti proprio dalle avanzate del lavoro e anche della crescita, dove hanno citato la pro- spettiva di politiche fiscali che potrebbero accelerarl­a sotto il prossimo governo di Donald Trump. Se finora numerosi economisti ipotizzava­no un prossimo intervento a metà anno, adesso la decisione potrebbe entrare in agenda già in marzo.

La stessa Fed ha tuttavia ricordato l’esistenza di incognite, sull’economia e la presidenza Trump. E le incognite non sono state dissipate neppure dagli ultimi dati. Nell’intero anno scorso il bilancio dei nuovi impieghi è rimasto “magro”: 2,2 milioni, 180mila al mese, il più debole dal 2011 seppur in parte frutto del progressiv­o risanament­o occupazion­ale. Ma tensioni, sperequazi­oni e diseguagli­anza che minano l’impatto della ripresa restano. Il manifattur­iero ha visto sparire 45mila occupati, mentre educazione e sanità ne hanno guadagnati quasi 600mila. La produttivi­tà langue, a causa d’un Pil finora inchiodato attorno al 2%e a scarsi investimen­ti, ridimensio­nando prospettiv­e di redditi e benessere.

La marcia degli stipendi resta a sua volta accidentat­a: dal 2009 i compensi per i lavoratori meno qualificat­i sono lievitati del minimo durante un’espansione dagli anni Sessanta. Anche l’exploit del 2,9% nei salari del 2016 è viziato: la maggior parte delle assunzioni in dicembre è avvenuta nei settori più poveri, dall’assistenza sanitaria e sociale (43.000) alla ristorazio­ne (30.000). Qui gli aumenti sono stati vicini al 2 per cento. La ristorazio­ne ha fatto un po’ meglio, con il 2,6%, ma è il comparto peggio pagato d’America, con stipendi medi lordi annuali di 16.000 dollari. Il meglio remunerato settore manifattur­iero ha intascato aumenti del 3% ma creato solo 17.000 buste paga, non abbastanza per riportare in attivo l’anno di operai e tecnici americani.

PIENA OCCUPAZION­E Secondo la presidente della Fed di Cleveland Loretta J. Mester negli Stati Uniti sono stati raggiunti i livelli di piena occupazion­e

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