Tokyo sotto shock per il tweet anti-Toyota
La Corporate Japan è sotto shock, le sfere politiche faticano a mascherare il disappunto e la Borsa punisce tutti i titoli automobilistici: è l’effetto del tweet con cui Donald Trump ha minacciato di imporre alti dazi sulle Corolla che Toyota produrrà in un nuovo stabilimento messicano. Dopo aver ceduto oltre il 3%, il titolo della principale casa automobilistica mondiale ha chiuso in ribasso dell’1,7%, nel quadro di un declino tra il 2 e il 3% - complice un rafforzamento dello yen - delle altre Case attive in Messico - come Honda, Nissan e Mazda- o anche assenti da quel mercato.
Dal punto di vista finanziario, se non è aggiotaggio poco ci manca: se pure gli analisti vedono di per sé un impatto limitato su Toyota (anche nel caso peggiore in cui in futuro saranno introdotti i minacciati dazi), il timore che va diffondendosi è che il mercato possa diventare ostaggio dei tweet estemporanei del nuovo presidente Usa. Ad esempio, Trump potrebbe dichiarare in futuro che lo yen è troppo debole ed elevare minacce a più ampio raggio: in quel caso la reazione degli inve- stitori sarebbe ben più negativa. Più in generale, gli esperti concordano nel ritenere che la possibile introduzione di barriere tariffarie – visto che le “supply chain” nel settore sono molto articolate – danneggerebbe tutti i costruttori. Non a caso ieri Carlos Ghosn, numero uno di Nissan e Renault, ha dichiarato che per pianificare le aziende hanno bisogno di sapere quali sono le regole: «Finora la regola è stata il Nafta. E in futuro?». In più, in Giappone ora si rafforzano i timori che la Ue possa mettersi sulla stessa strada, imponendo tariffe postBrexit sui prodotti realizzati dalle aziende nipponiche nel Regno Unito (sua principale destinazione di Fdi).
In una conferenza stampa, il ministro delle Finanze Taro Aso ha quasi ironizzato, sostenendo di «non essere sicuro» che Trump sappia quante auto Toyota produce negli States (la risposta è oltre 1,3 milioni l’anno). Il capo di Gabinetto Suga ha sottolineato che negli Usa la Toyota è un «good corporate citizen». E l’azienda ha evidenziato che la sua produzione e occupazione statunitense non diminuirà a causa dello stabilimento da un miliardo di dollari e 200 mila vetture l’anno che entrerà in funzione nel 2019 nel Guanajuato. Alla Toyota appaiono davvero sorpresi di esser stati la prima Casa automobilistica straniera a finire nel mirino di un Trump che ha persino confuso nel tweet l’esistente fabbrica di Baja California (che produce i pick-up Tacoma e sarà rafforzata) con il nuovo impianto annunciato nel 2015 di cui è appena iniziata la realizzazione.
In una nota intitolata “Tweet versus Facts”, CreditSight ha notato che Toyota ha investito molto negli Usa, dove ora importa solo il 28% degli autoveicoli che vende (contro il 70% circa del 1990). Toyota stessa ha sottolineato i suoi investimenti diretti per 21,9 miliardi di dollari in Usa, con 10 impianti produttivi in 8 stati, 1500 concessionari e 136mila occupati. Quasi due terzi dei veicoli che realizza in Nord America sono “Made in Usa” e dal Messico - ha stimato il Center for Automotive Research - esporta negli States solo 47mila veicoli contro 1,1 milioni delle Big Three di Detroit. Produrre vetture a bassi margini (come le Corolla) dove i costi sono inferiori è una necessità strategica: in ogni caso, il nuovo impianto sostituirà la produzione oggi effettuata in Canada. Ce n’è abbastanza perché Toyota si senta presa di mira ingiustamente e tutto il Giappone (e non solo) sia sconcertato da come un tweet superficiale rievochi le tensioni commerciali degli anni ‘80. Su un altro versante, Tokyo ci mette del suo nell’alzare le tensioni politico-diplomatiche, con aggiunta di risvolti finanziari: ieri ha richiamato il suo ambasciatore in Corea del Sud e ha sospeso i negoziati per il rinnovo di un accordo di swap valutario con Seul.
Lo ha fatto perché contrariata dall’erezione da parte di un gruppo civico di una statua che omaggia le cosiddette “donneconforto” (indotte a prostituirsi durante l’ultima guerra mondiale) vicino al consolato giapponese di Busan; il che si aggiunge alla mancata rimozione di una analoga statua presso l’ambasciata a Seul prevista da un precedente accordo.
LA REAZIONE DEL GOVERNO Il ministro delle Finanze Aso: «Lo sa il nuovo presidente che Toyota produce negli Usa già 1,3 milioni di auto?»