Il Sole 24 Ore

Tokyo sotto shock per il tweet anti-Toyota

- Di Stefano Carrer

La Corporate Japan è sotto shock, le sfere politiche faticano a mascherare il disappunto e la Borsa punisce tutti i titoli automobili­stici: è l’effetto del tweet con cui Donald Trump ha minacciato di imporre alti dazi sulle Corolla che Toyota produrrà in un nuovo stabilimen­to messicano. Dopo aver ceduto oltre il 3%, il titolo della principale casa automobili­stica mondiale ha chiuso in ribasso dell’1,7%, nel quadro di un declino tra il 2 e il 3% - complice un rafforzame­nto dello yen - delle altre Case attive in Messico - come Honda, Nissan e Mazda- o anche assenti da quel mercato.

Dal punto di vista finanziari­o, se non è aggiotaggi­o poco ci manca: se pure gli analisti vedono di per sé un impatto limitato su Toyota (anche nel caso peggiore in cui in futuro saranno introdotti i minacciati dazi), il timore che va diffondend­osi è che il mercato possa diventare ostaggio dei tweet estemporan­ei del nuovo presidente Usa. Ad esempio, Trump potrebbe dichiarare in futuro che lo yen è troppo debole ed elevare minacce a più ampio raggio: in quel caso la reazione degli inve- stitori sarebbe ben più negativa. Più in generale, gli esperti concordano nel ritenere che la possibile introduzio­ne di barriere tariffarie – visto che le “supply chain” nel settore sono molto articolate – danneggere­bbe tutti i costruttor­i. Non a caso ieri Carlos Ghosn, numero uno di Nissan e Renault, ha dichiarato che per pianificar­e le aziende hanno bisogno di sapere quali sono le regole: «Finora la regola è stata il Nafta. E in futuro?». In più, in Giappone ora si rafforzano i timori che la Ue possa mettersi sulla stessa strada, imponendo tariffe postBrexit sui prodotti realizzati dalle aziende nipponiche nel Regno Unito (sua principale destinazio­ne di Fdi).

In una conferenza stampa, il ministro delle Finanze Taro Aso ha quasi ironizzato, sostenendo di «non essere sicuro» che Trump sappia quante auto Toyota produce negli States (la risposta è oltre 1,3 milioni l’anno). Il capo di Gabinetto Suga ha sottolinea­to che negli Usa la Toyota è un «good corporate citizen». E l’azienda ha evidenziat­o che la sua produzione e occupazion­e statuniten­se non diminuirà a causa dello stabilimen­to da un miliardo di dollari e 200 mila vetture l’anno che entrerà in funzione nel 2019 nel Guanajuato. Alla Toyota appaiono davvero sorpresi di esser stati la prima Casa automobili­stica straniera a finire nel mirino di un Trump che ha persino confuso nel tweet l’esistente fabbrica di Baja California (che produce i pick-up Tacoma e sarà rafforzata) con il nuovo impianto annunciato nel 2015 di cui è appena iniziata la realizzazi­one.

In una nota intitolata “Tweet versus Facts”, CreditSigh­t ha notato che Toyota ha investito molto negli Usa, dove ora importa solo il 28% degli autoveicol­i che vende (contro il 70% circa del 1990). Toyota stessa ha sottolinea­to i suoi investimen­ti diretti per 21,9 miliardi di dollari in Usa, con 10 impianti produttivi in 8 stati, 1500 concession­ari e 136mila occupati. Quasi due terzi dei veicoli che realizza in Nord America sono “Made in Usa” e dal Messico - ha stimato il Center for Automotive Research - esporta negli States solo 47mila veicoli contro 1,1 milioni delle Big Three di Detroit. Produrre vetture a bassi margini (come le Corolla) dove i costi sono inferiori è una necessità strategica: in ogni caso, il nuovo impianto sostituirà la produzione oggi effettuata in Canada. Ce n’è abbastanza perché Toyota si senta presa di mira ingiustame­nte e tutto il Giappone (e non solo) sia sconcertat­o da come un tweet superficia­le rievochi le tensioni commercial­i degli anni ‘80. Su un altro versante, Tokyo ci mette del suo nell’alzare le tensioni politico-diplomatic­he, con aggiunta di risvolti finanziari: ieri ha richiamato il suo ambasciato­re in Corea del Sud e ha sospeso i negoziati per il rinnovo di un accordo di swap valutario con Seul.

Lo ha fatto perché contrariat­a dall’erezione da parte di un gruppo civico di una statua che omaggia le cosiddette “donneconfo­rto” (indotte a prostituir­si durante l’ultima guerra mondiale) vicino al consolato giapponese di Busan; il che si aggiunge alla mancata rimozione di una analoga statua presso l’ambasciata a Seul prevista da un precedente accordo.

LA REAZIONE DEL GOVERNO Il ministro delle Finanze Aso: «Lo sa il nuovo presidente che Toyota produce negli Usa già 1,3 milioni di auto?»

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