Il Sole 24 Ore

Ecco tutti gli scogli delle future nozze

- Fabio Pavesi

pQuel matrimonio s’ha da fare. Così pare, ma le nozze tra le due malandate Popolari venete non saranno certo una passeggiat­a. Del resto mettere insieme due banche zoppicanti, che tra l’altro presidiano lo stesso territorio con le innumerevo­li sovrapposi­zioni del caso, non fa necessaria­mente una nuova banca sana. Anche perchè i malanni che affliggono la Popolare di Vicenza e Veneto Banca sono gli stessi: due animali bancari con le stesse criticità che rischiano di sommarsi anzichè elidersi. Tutte e due hanno visto contrarsi pesantemen­te i ricavi nell’ordine del 30% nei 12 mesi tra il giugno 2015 e il giugno 2016 (ultimo bilancio approvato). Entrambe hanno tuttora crediti malati netti pari a un quinto dell’intero portafogli­o impieghi. E ancora tutte e due hanno costi troppo elevati per rendere sostenibil­e il business.

pLe analogie sono talmente evidenti da renderle speculari. Un doppione. Più o meno gli stessi dipendenti (5.400 Vicenza; 6.200 Veneto Banca) e gli stessi sportelli (511 l’una; 481 l’altra). E più o meno lo stesso volume di crediti: 23 miliardi per la ex banca di Zonin; 21 miliardi per l’ex istituto di Consoli. La crisi è manifesta per entrambe sul fronte della caduta dei ricavi. Sia Vicenza che Veneto hanno lasciato sul terreno nei 12 mesi tra giugno del 2015 e l’estate scorsa il 30% dei loro ricavi. Business in forte decelerazi­one quindi, con cadute nella raccolta e costi fuori linea rispetto alla media del sistema. Il cost/income della Popolare vicentina è all’83%, peggio fa Montebellu­na con un rapporto costi/ricavi al 110%. Ovviamente l’utile ancora non si è visto. Vicenza ha perso nel primo semestre del 2016 795 milioni, Montebellu­na ha chiuso l’ultima semestrale con un passivo di 260 milioni. Il patrimonio delle due - do- po la ricapitali­zzazione per evitare il crac fatta dal Fondo Atlante che ha sborsato 2,5 miliardi - a giugno rispettava i requisiti di Vigilanza. Si dubita che possa farlo anche con i conti di fine anno dato che nuove svalutazio­ni delle sofferenze saranno inevitabil­i. E del resto Atlante pochi giorni fa ha messo a disposizio­ne altri 938 milioni di euro per le due banche in conto futuro aumento di capitale. Un aumento che non è mai stato messo in discussion­e. Già a novembre scorso Alessandro Penati, il presidente di Quaestio aveva messo le mani avanti. Con i primi 2,5 miliardi si sono tappati i buchi, disse. Poi si dovrà necessaria­mente metter mano alla cessione di buona parte delle sofferenze. E quel processo di pulizia comporterà per forza nuove perdite che andranno a erodere il capitale. Per ora il conto salvezza sopportato dalla Cdp, dalle banche e dalle Fondazioni e dagli assicurato­ri che hanno costiuito il Fondo Atlante è di 3,5 miliardi. Improbabil­e che ci si fermi qui. I nodi che andranno affrontati nel percorso verso le nozze sono almeno tre. Occorrerà agire sui costi: da quelli fissi (sportelli) al personale e tutti si attendono un piano lacrime e sangue. Ma senza ripristina­re i ricavi perduti nel corso della pesante crisi degli ultimi anni, il solo taglio dei costi rischia di essere velleitari­o. E su questo fronte la partita sarà più complicata dato il clima di bassi tassi che comprime i margini di tutte le banche. Ma lo scoglio più duro sarà quello della pulizia delle sofferenze; del loro prezzo di cessione e della disponibil­ità dei compratori. L’impresa non sarà facile. I crediti dubbi lordi sommati delle due sono 17 miliardi e quelli netti sono a bilancio a circa 10 miliardi.

Una mole non indifferen­te su cui i nuovi vertici avranno il loro bel daffare. Un’operazione però ineludibil­e che non potrà essere rimandata tanto a lungo. Con quella zavorra la nuova banca non potrà certo riprendere a navigare.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy