Ecco gli indicatori che svelano i trend
Cosa potrebbe accadere se i tassi reali superassero il tetto dello 0,7%
Per capire come potrebbe evolvere le situazione sui mercati finanziari può essere molto utile tenere sott’occhio nei prossimi mesi l’indicatore dei tassi reali negli Stati Uniti. Il rendimento reale decennale del Treasury indicizzato (vedi grafico a fianco), senza quindi contare l’inflazione, da oltre tre anni oscilla intorno al range tra zero e 0,7%.
Quando i tassi sono saliti verso lo 0,7% ha sofferto l’oro (vedi altro pezzo in pagina) mentre quando sono scesi verso lo zero, l’azionario ha rallentato la corsa: questo a grandi linee quanto è successo negli ultimi anni. Il fatto che i tassi reali Usa salgano è tutto sommato sintomo di una economia con prospettive di crescita. La dinamica è quindi positiva. «Negli Stati Uniti – spiega Raffaele Zenti, co-fondatore e partner di AdviseOnly – il rendimento reale dal 1900 a fine 2015 delle obbligazioni a lungo termine a 10 anni è stato in media del 2% e, quindi, con lo 0,5% circa attuale siamo molto al di sotto della media storica; penso però che per molto tempo i valori resteranno ben al di sotto, sia per la dinamica demografica, che per quella della produttività. A livello globale il rendimento medio dal 1900 a fine 2015 è stato invece dell’1,8%».
E se il rendimento reale Usa uscisse dall’attuale range e arrivasse all’1%? «Non penso che ci sarebbero problemi particolari – aggiunge Zenti – anche se come effetto immediato l’impatto sarebbe negativo, in particolare per le obbligazioni con duration più elevata: per un decennale un rialzo di mezzo punto di rendimento vuol dire una perdita di circa il 5% in conto capitale. Ma poi i bond diventerebbero nuovamente appetibili per gli investitori: già oggi il Treasury Usa è interessante, con uno yield intorno al 2,5%. Un rialzo dei rendimenti sarebbe verosimilmente negativo per l’oro, mentre l’effetto sull’azionario potrebbe essere positivo».
L’ipotesi di un rialzo consistente dei tassi e dei rendimenti appare un’ipotesi remota. Al momento il mercato sembra aver già scontato le prossime mosse della Fed e tutti gli operatori sono in attesa di capire quali saranno gli effetti delle politiche di Trump. Molta prudenza sui futuri sviluppi arriva da Roberto Malnati, risk manager di Ten Sigma di Lugano. «Da almeno 5 anni – spiega – i tassi sono manipolati dalle banche centrali con l’obiettivo non dichiarato di condizionare la propria divisa di riferimento per favorire la competitività. Un contesto del tutto nuovo che condiziona alcune variabili macro a partire dal concetto di inflazione. Oggi l’inflazione impatta sulla vita dei cittadini principalmente per la componente energetica. Non c’è una pressione inflattiva generata da stipendi in crescita e aumentate capacità di spesa a livello globale se escludiamo la Cina dove le paghe sono triplicate nell’arco di dieci anni, ponendo seri problemi alle autorità che vorrebbero interrompere il ciclo deflattivo. Negli Usa sono stati creati posti di lavoro a bassissima remunerazione e a bassissimo valore aggiunto e il consumo dei cittadini americani è prevalentemente ancora a debito».
In questo scenario di repressione finanziaria e rendimenti a zero in controtendenza sembrano muoversi solo gli Stati Uniti, con l’attesa di tre rialzi dei tassi nel 2017. «Gli Stati Uniti – continua Malnati – hanno avviato il rialzo dei tassi per un motivo prettamente politico ovvero la necessità di piazzare titoli di Stato dopo che la Cina negli ultimi anni ha deciso vendite pesanti di Treasury. Solo un dollaro più forte con prospettive di remunerazioni interessanti può attrarre investitori e penso che questa tendenza durerà ancora, con una forbice tra dollaro ed euro che resterà a vantaggio del primo pur con inevitabili rimbalzi e assestamenti». In questo quadro i Treasury statunitensi al 2,5% possono diventare attraenti scommettendo che l’inflazione non risalirà la china come in passato.