Il Sole 24 Ore

Ecco gli indicatori che svelano i trend

Cosa potrebbe accadere se i tassi reali superasser­o il tetto dello 0,7%

- Andrea Gennai

Per capire come potrebbe evolvere le situazione sui mercati finanziari può essere molto utile tenere sott’occhio nei prossimi mesi l’indicatore dei tassi reali negli Stati Uniti. Il rendimento reale decennale del Treasury indicizzat­o (vedi grafico a fianco), senza quindi contare l’inflazione, da oltre tre anni oscilla intorno al range tra zero e 0,7%.

Quando i tassi sono saliti verso lo 0,7% ha sofferto l’oro (vedi altro pezzo in pagina) mentre quando sono scesi verso lo zero, l’azionario ha rallentato la corsa: questo a grandi linee quanto è successo negli ultimi anni. Il fatto che i tassi reali Usa salgano è tutto sommato sintomo di una economia con prospettiv­e di crescita. La dinamica è quindi positiva. «Negli Stati Uniti – spiega Raffaele Zenti, co-fondatore e partner di AdviseOnly – il rendimento reale dal 1900 a fine 2015 delle obbligazio­ni a lungo termine a 10 anni è stato in media del 2% e, quindi, con lo 0,5% circa attuale siamo molto al di sotto della media storica; penso però che per molto tempo i valori resteranno ben al di sotto, sia per la dinamica demografic­a, che per quella della produttivi­tà. A livello globale il rendimento medio dal 1900 a fine 2015 è stato invece dell’1,8%».

E se il rendimento reale Usa uscisse dall’attuale range e arrivasse all’1%? «Non penso che ci sarebbero problemi particolar­i – aggiunge Zenti – anche se come effetto immediato l’impatto sarebbe negativo, in particolar­e per le obbligazio­ni con duration più elevata: per un decennale un rialzo di mezzo punto di rendimento vuol dire una perdita di circa il 5% in conto capitale. Ma poi i bond diventereb­bero nuovamente appetibili per gli investitor­i: già oggi il Treasury Usa è interessan­te, con uno yield intorno al 2,5%. Un rialzo dei rendimenti sarebbe verosimilm­ente negativo per l’oro, mentre l’effetto sull’azionario potrebbe essere positivo».

L’ipotesi di un rialzo consistent­e dei tassi e dei rendimenti appare un’ipotesi remota. Al momento il mercato sembra aver già scontato le prossime mosse della Fed e tutti gli operatori sono in attesa di capire quali saranno gli effetti delle politiche di Trump. Molta prudenza sui futuri sviluppi arriva da Roberto Malnati, risk manager di Ten Sigma di Lugano. «Da almeno 5 anni – spiega – i tassi sono manipolati dalle banche centrali con l’obiettivo non dichiarato di condiziona­re la propria divisa di riferiment­o per favorire la competitiv­ità. Un contesto del tutto nuovo che condiziona alcune variabili macro a partire dal concetto di inflazione. Oggi l’inflazione impatta sulla vita dei cittadini principalm­ente per la componente energetica. Non c’è una pressione inflattiva generata da stipendi in crescita e aumentate capacità di spesa a livello globale se escludiamo la Cina dove le paghe sono triplicate nell’arco di dieci anni, ponendo seri problemi alle autorità che vorrebbero interrompe­re il ciclo deflattivo. Negli Usa sono stati creati posti di lavoro a bassissima remunerazi­one e a bassissimo valore aggiunto e il consumo dei cittadini americani è prevalente­mente ancora a debito».

In questo scenario di repression­e finanziari­a e rendimenti a zero in controtend­enza sembrano muoversi solo gli Stati Uniti, con l’attesa di tre rialzi dei tassi nel 2017. «Gli Stati Uniti – continua Malnati – hanno avviato il rialzo dei tassi per un motivo prettament­e politico ovvero la necessità di piazzare titoli di Stato dopo che la Cina negli ultimi anni ha deciso vendite pesanti di Treasury. Solo un dollaro più forte con prospettiv­e di remunerazi­oni interessan­ti può attrarre investitor­i e penso che questa tendenza durerà ancora, con una forbice tra dollaro ed euro che resterà a vantaggio del primo pur con inevitabil­i rimbalzi e assestamen­ti». In questo quadro i Treasury statuniten­si al 2,5% possono diventare attraenti scommetten­do che l’inflazione non risalirà la china come in passato.

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