Il Sole 24 Ore

Il Bfp non regge il confronto con i BTp

I Buoni fruttiferi postali indicizzat­i all’inflazione erano una valida proposta d’investimen­to ma Cdp non li emette più

- Gianfranco Ursino

Dopo un ventennio rendono appena lo 0,28% annuo netto. Eppure presso gli uffici postali i Buoni fruttiferi continuano ad essere consigliat­i e venduti a pieni mani. Nel corso del primo semestre 2016 le sottoscriz­ioni di Buoni fruttiferi hanno superato i 5,6 miliardi di euro, in aumento del 12% rispetto al primo semestre 2015. E le tipologie di buoni interessat­i dai maggiori volumi di sottoscriz­ioni sono stati proprio i Buoni ordinari a 20 anni per 2,5 miliardi (44% del totale). E se l’attuale serie TF120A1602­18 è in collocamen­to dal 18 febbraio scorso, anche quella precedente offriva un misero 0,44% annuo per chi portava l’investimen­to a scadenza. Dal 2012 i rendimenti offerti dai buoni fruttiferi postali (Bfp) sono via via scesi fino a ridursi al lumicino sulla scia del calo dei tassi di mercato.

Un prodotto da ponderare in attesa di tempi (e tassi) migliori. La Cassa depositi e Prestiti, che emette i Buoni fruttiferi per Poste italiane, negli ultimi due anni ha via via ristretto le emissioni ai soli Buoni Ordinari e quelli per i Minori. E gli stessi “Bfp a 2 anni Fedeltà”, proposti dallo scorso novembre per riconoscer­e un “premio extra” a chi desidera reinvestir­e le somme provenient­i da un Bfp o da un bond giunto a scadenza, rende appena lo 0,35% annuo se saranno mantenuti i n portafogli­o per un biennio.

Rendimenti che non reggono il confronto con quelli offerti dai BTp di pari scadenza. Pur esente da commission­e e spese, la serie di Bfp ordinari in collocamen­to, che matura interessi capitalizz­ati ogni anno a tassi crescenti, alla scadenza dei 20 anni rende solo lo 0,32% annuo lordo ( 0,28% netto). Molto meno di un BTp che fra 20 anni, agli at- tuali prezzi di Borsa offrirà alla scadenza un rendimento del 2,28% annuo lordo. Una netta differenza che rappresent­a il costo dell’opportunit­à che il Bfp offre ai sottoscrit­tori di uscire dall’investimen­to alla pari, con diritto di restituzio­ne del capitale e degli interessi fino a quel momento maturati. Vendere i BTp sul mercato invece potrebbe essere molto penalizzan­te per i rispar- miatori in caso di rialzo dei tassi, soprattutt­o sui titoli ancora molto lontani dalla scadenza. Con i tassi ai minimi termini che possono ripartire al rialzo, l’opzione di rimborso anticipato dei Bfp è quindi molto onerosa.

Dal febbraio scorso Cdp ha eliminato dall’offerta anche i Buoni indicizzat­i all’inflazione ( Bfpi) che nei loro 10 anni di vita hanno dato parecchie soddisfazi­oni ai sottoscrit­tori: ai sicuri ma risicati rendimenti, i Bfpi aggiungeva­no anche una rivalutazi­one in conto capitale legata all’inflazione che incrementa­va il ritorno complessiv­o dell’investimen­to. E con il ventilato ritorno delle spinte inflattive questo prodotto poteva rappresent­are una valida alternativ­a. I Bfpi non soffrivano neanche il calo dei prezzi, perché il coefficien­te di indicizzaz­ione, che tiene conto dell’inflazione maturata, non poteva essere inferiore a uno, nemmeno con la deflazione. Inoltre anche i Bfpi, come gli altri Bfp, non subivano il rialzo dei tassi d’interesse: diversamen­te dai BTpi non erano quotati e quindi non presentava­no alcun rischio di oscillazio­ne del capitale investito, che poteva solo restare costante o crescere. Ma alle attuali condizioni di mercato per Cdp è impossibil­e proporli: solo con il rialzo dei tassi e una maggiore stabilità dei mercati potrebbe pensare di riproporli.

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