Fabrizio Galimberti u
La sola funzione delle previsioni economiche – disse un giorno un famoso e irriverente economista, John Kenneth Galbraith – è quella di far apparire rispettabile l’astrologia. O, come disse qualcun altro, di far fare bella figura ai meteorologi, le cui previsioni sono spesso fragili, come sa chi, fidandosi, è partito per un picnic e si ritrova bagnato.
In questi anni difficili, segnati da crisi economiche impreviste e tsunami di populismo pur essi imprevisti, gli economisti si ritrovano anch’essi “bagnati”. Non è inutile ricordare che le battute sull’economia e sugli economisti si sprecano da molto tempo, anche al di fuori delle previsioni: «Un economista è uno che sa il prezzo di tutto e il valore di niente»; «L’economia è estremamente utile per dar lavoro agli economisti». Altre prese in giro riguardano il fatto che gli economisti non sono mai d’accordo (neanche con se stessi). Famosa è la frase attribuita a Harry Truman o a Herbert Hoover: «Il sogno della mia vita è di trovare un economista monco». Il presidente americano lamentava che i suoi consiglieri economici non gli davano mai una risposta univoca: alla domanda, per esempio, se i controlli sugli affitti siano una cosa buona, rispondevano: da una parte sì, e accompagnavano l’argomentazione rovesciando il palmo della mano; ma dall’altra parte no, ed esibivano il palmo dell’altra mano… E diamo la parola anche a Winston Churchill: «Se chiedo un parere a due economisti avrò due risposte diverse. A meno che uno dei due non sia Lord Keynes, nel qual caso ne avrò tre». Poi c’è la battuta più feroce: «Gli economisti sono come i tassisti di Bangkok: mettetene due assieme e avrete quattro opinioni, ognuna del- le quali vi porterà, a caro prezzo, nella direzione sbagliata». Infine, per terminare questa masochistica carrellata con qualcosa di più colto, Edmund Burke, uno storico del Settecento, riflettendo sulla rivoluzione francese, scrisse: «L’età dei cavalieri è finita. È arrivata l’età dei sofisti, degli economisti e dei calcolatori; e la gloria d’Europa si è estinta per sempre».
Una scienza che era partita dalla filosofia morale del Settecento e aveva poi ambito a formalizzare l’economia con modelli irti di equazioni che cercavano (in- vano) di rappresentare la realtà, torna a essere una “scienza dell’uomo”. Il quale uomo – bipede notoriamente complesso – si rivela meno razionale di quel che credevano i libri di testo. L’economia – bisogna riconoscerlo – sta cambiando e chiede soccorso alla storia, alla sociologia, alla politologia, alla psicologia e financo alla neurologia. Un cambiamento che è stato colto dall’Accademia delle scienza svedese, che è arrivata ad assegnare un Nobel dell’economia a Daniel Kahneman, che non ha mai seguito in vita sua un corso della “scienza triste”.
Ma questi cambiamenti, se importanti a livello teorico, non hanno finora portato a grossi vantaggi a livello pratico. ll problema sta nel fatto che il fermento dell’“economia comportamentale”, se illumina molti comportamenti “micro”, non arriva a percolare nel “macro”. E le previsioni economiche appartengono, appunto, al dominio del “macro”.
“Un battito delle ali di una farfalla nell’Amazzonia può causare un tifone a Tokyo”, dice una vecchia battuta intesa a illustrare la “teoria del caos”. Vuol dire che, in un sistema in cui tutto dipende da tutto («tutto fa parte della grande ragnatela», diceva Marco Aurelio) anche un minimo cambiamento può dare l’abbrivio a una serie di eventi e provocare conseguenze inattese, grandi e diverse e lontane... Vuol dire che gli economisti deb- bono abbandonare i modelli deterministici e adottare gli strumenti matematici delle “teorie del caos”?
Se quegli strumenti funzionassero la meteorologia saprebbe dirci che tempo farà fra un mese o due, invece di essere confinata – e non sempre con successo – alle previsioni a sette giorni. Agli economisti si chiedono cose più ardue: come andrà l’economia quest’anno e l’anno prossimo. Ogni previsione è una semplificazione: si suppone che la “cornice” entro la quale si muovono le grandezze rimanga ferma, talché si possano muovere le pedine su una scacchiera stabile. Ma il problema sta nel fatto che la cornice sta cambiando, la scacchiera non è la stessa, gli “spiriti animali” – di produttori, famiglie, contribuenti, elettori – sono in subbuglio...
Keynes disse che gli economisti dovrebbero aspirare ad essere persone umili e competenti, come i dentisti. In tempi più recenti, Esther Duflo, un’economista pluripremiata che insegna economia al Mit, ha detto che vorrebbe essere considerata alla stregua di un buon idraulico. Ebbene, sia i dentisti che gli idraulici affrontano problemi locali e specifici. Non aspirano a disegnare gli orizzonti di un intero sistema economico. É tempo, insomma, che gli economisti si chinino sui problemi “micro” – ce ne sono tanti e grossi e importanti – e lascino che del “macro” si occupino «la balbuzie fortunosa degli uccelli e il lontano contrappeso degli astri».
L’INSEGNAMENTO Secondo Keynes gli economisti dovrebbero aspirare ad essere persone umili e competenti, come i dentisti