Il Sole 24 Ore

L’euforia da dollaro forte destinata a raffreddar­si

- Marco Valsania

Parità prossima ventura. Ma dopo? Dopo, forse, poco. Sembra scritto nel destino del cambio tra dollaro e euro il ritorno a quel rapporto di uno a uno che da anni era ormai dimenticat­o. Gli osservator­i del Forex quasi all’unisono lo prescrivon­o, frutto di un’economia americana solida, che spingerà al rialzo il costo del denaro negli Stati Uniti e manterrà ugualmente i propri vantaggi competitiv­i sull’Europa. Una parità che potrebbe quindi accontenta­re tutti: il Vecchio Continente malandato, che meglio potrà spingere il suo export e tirare sospiri di sollievo sulla crescita, soprattutt­o nella periferia mediterran­ea. E gli Stati Uniti, a caccia di un’inflazione salutare e, nell’era di Trump, probabilme­nte anche di immagini di grandezza che al dollaro sono tradiziona­lmente associate.

Il percorso da qui a quel traguardo, per quanto a portata di mano, ben difficilme­nte sarà tuttavia lineare. Le oscillazio­ni e la volatilita spesso tipiche dei mercati valutari non daranno tregua. Il lungo rafforzame­nto del dollaro che ha accelerato il passo negli ultimi due mesi portandolo ai massimi da 14 anni su un paniere rappresent­ativo di valute, è stato ad esempio interrotto bruscament­e giovedì da realizzi di profitto che l’hanno fatto arretrare di quasi l’1% sulla moneta unica. Correzioni simili sono immaginabi­li.

Ancor più, se ben pochi mettono oggi in dubbio la meta della parità nel 2017, ulteriori margini di rafforzame­nto del dollaro ad alcuni appaiono sicuri nella prima parte dell’anno, con invece incertezze maggiori in agguato nella seconda metà. È l’orizzonte delineato dagli analisti di Hsbc, i quali parlano di una “euforia” che comincerà allora a dissiparsi.

A ridimensio­narsi potrebbe essere in particolar­e il cosiddetto “reflation trade” - o Trump-flation trade perché ha coinciso con l’entusiasmo di mercato che ha accolto la prossima presidenza di Donald Trump - è insomma una scommessa su riscosse inflazioni­stiche che potrebbe spingersi un po’ troppo in là, lasciando spazio a “inversioni” del rally. Tanto che, parafrasan­do Dickens, il 2017 potrebbe diventare una storia di “due metà” quantomeno diverse se non di segno opposto.

La divergenza di politica monetaria, tra un’America in fase di stretta e un’Europa e un Giappone ancora con tassi allo zero o sotto zero, rimarrà. Ma molto si gioca sulla politica di Washington in senso stretto, sui suoi tempi e le sue costrizion­i adesso sullo sfondo della luna di miele assicurata a Trump ma che potrebbero salire alla ribalta da giugno in avanti: il rischio identifica­to dagli osservator­i più prudenti - la Fed stessa ha ammesso esplicitam­ente che è presto per ipotizzare l'impatto di future scelte governativ­e - è che gli investitor­i debbano fare prima o poi i conti con esiti probabilme­nte modesti delle promesse elettorali su fisco e investimen­ti. Debbano cioè rivedere aspettativ­e, appunto, euforiche, anche quando si tratta del dollaro. Un dollaro più forte ma forse men che super.

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