L’euforia da dollaro forte destinata a raffreddarsi
Parità prossima ventura. Ma dopo? Dopo, forse, poco. Sembra scritto nel destino del cambio tra dollaro e euro il ritorno a quel rapporto di uno a uno che da anni era ormai dimenticato. Gli osservatori del Forex quasi all’unisono lo prescrivono, frutto di un’economia americana solida, che spingerà al rialzo il costo del denaro negli Stati Uniti e manterrà ugualmente i propri vantaggi competitivi sull’Europa. Una parità che potrebbe quindi accontentare tutti: il Vecchio Continente malandato, che meglio potrà spingere il suo export e tirare sospiri di sollievo sulla crescita, soprattutto nella periferia mediterranea. E gli Stati Uniti, a caccia di un’inflazione salutare e, nell’era di Trump, probabilmente anche di immagini di grandezza che al dollaro sono tradizionalmente associate.
Il percorso da qui a quel traguardo, per quanto a portata di mano, ben difficilmente sarà tuttavia lineare. Le oscillazioni e la volatilita spesso tipiche dei mercati valutari non daranno tregua. Il lungo rafforzamento del dollaro che ha accelerato il passo negli ultimi due mesi portandolo ai massimi da 14 anni su un paniere rappresentativo di valute, è stato ad esempio interrotto bruscamente giovedì da realizzi di profitto che l’hanno fatto arretrare di quasi l’1% sulla moneta unica. Correzioni simili sono immaginabili.
Ancor più, se ben pochi mettono oggi in dubbio la meta della parità nel 2017, ulteriori margini di rafforzamento del dollaro ad alcuni appaiono sicuri nella prima parte dell’anno, con invece incertezze maggiori in agguato nella seconda metà. È l’orizzonte delineato dagli analisti di Hsbc, i quali parlano di una “euforia” che comincerà allora a dissiparsi.
A ridimensionarsi potrebbe essere in particolare il cosiddetto “reflation trade” - o Trump-flation trade perché ha coinciso con l’entusiasmo di mercato che ha accolto la prossima presidenza di Donald Trump - è insomma una scommessa su riscosse inflazionistiche che potrebbe spingersi un po’ troppo in là, lasciando spazio a “inversioni” del rally. Tanto che, parafrasando Dickens, il 2017 potrebbe diventare una storia di “due metà” quantomeno diverse se non di segno opposto.
La divergenza di politica monetaria, tra un’America in fase di stretta e un’Europa e un Giappone ancora con tassi allo zero o sotto zero, rimarrà. Ma molto si gioca sulla politica di Washington in senso stretto, sui suoi tempi e le sue costrizioni adesso sullo sfondo della luna di miele assicurata a Trump ma che potrebbero salire alla ribalta da giugno in avanti: il rischio identificato dagli osservatori più prudenti - la Fed stessa ha ammesso esplicitamente che è presto per ipotizzare l'impatto di future scelte governative - è che gli investitori debbano fare prima o poi i conti con esiti probabilmente modesti delle promesse elettorali su fisco e investimenti. Debbano cioè rivedere aspettative, appunto, euforiche, anche quando si tratta del dollaro. Un dollaro più forte ma forse men che super.