Come coniugare libertà politica e sviluppo economico
Il benessere dei popoli è assicurato da quattro fattori: Stato forte, primato della legge, rendicontabilità democratica e presenza di liberi mercati
Èlapalissiano dire che le persone, in ogni parte del mondo, vogliono vivere in un Paese sicuro e prospero, dove godono di libertà di pensiero e di azione e possono esercitare il diritto democratico di scegliere il proprio Governo.
Ma nel 2017 e negli anni a venire il mondo sarà posto di fronte a un interrogativo disarmante: come possiamo essere sicuri che libertà politica e prosperità economica vadano insieme?
Il politologo americano Francis Fukuyama ha sostenuto che le democrazie liberali, con la loro libertà politica e il loro successo economico, hanno tre pilastri fondamentali: uno Stato forte, il primato della legge e la rendicontabilità democratica. Io ne aggiungerei un quarto: la presenza di liberi mercati.
Stato forte non significa semplicemente potenza militare, o un efficiente apparato di intelligence. Dovrebbe significare un’amministrazione efficace e imparziale: in altre parole, «buongoverno». Il primato della legge significa che un Governo è vincolato da quello che gli indiani definirebbero dharma, un codice di comportamento morale largamente noto, fatto rispettare da un’autorità religiosa, culturale o giudiziaria. Rendicontabilità democratica significa che i Governi devono essere accettati dalla popolazione e i cittadini devono avere il potere di rimpiazzare governanti corrotti o incompetenti. Ma che cosa determina un Governo forte? Gli ultraliberisti sostengono che il Governo migliore è quello che governa meno, un «sorvegliante notturno» che si limiti a garantire la sicurezza delle persone, della proprietà e dei contratti. I marxisti sono convinti, come scriveva Friedrich Engels, che una volta che la vittoria del proletariato avrà posto fine alla lotta di classe, «al posto del governo sulle persone [apparirà] l’amministrazione delle cose». Si sbagliano entrambi: tutte le economie hanno bisogno di un Governo forte per svilupparsi e prosperare.
Non è detto tuttavia che i Governi forti vadano nella direzione giusta. Hitler garantì alla Germania un’amministrazione efficiente, ma il Führer avviò la Germania verso la rovina calpestando il primato della legge, senza il quale la democrazia può condurre alla tirannia della maggioranza. Al contrario, la rendicontabilità democratica, se abbinata al primato della legge, garantisce che i Governi rispondano ai desideri dei cittadini. Naturalmente i vari gruppi sociali e i nteressi organizzati non sempre vedranno i loro programmi tradotti in politiche concrete, ma le istituzioni democratiche sono comunque essenziali, perché consentono di incanalare le rimostranze in forme nonviolente.
Non possiamo ignorare l’influenza della storia. Come fa notare Fukuyama, la Cina storicamente ha sperimentato lunghi periodi di caos. Una competizione militare sfrenata faceva sì che i gruppi si organizzassero come unità militari gerarchiche, con governanti che esercitavano un potere illimitato. Quando un gruppo, alla fine, emergeva vittorioso, imponeva un Governo autocratico centralizzato per fare in modo che non tornasse il caos. E l’esistenza di un’area geografica enorme da controllare imponeva di avere un’élite burocratica ben sviluppata (da qui i mandarini). Ogni volta che veniva unita, la Cina aveva un Governo efficiente e senza vincoli. Tuttavia, sostiene Fukuyama, non aveva nella religione o nella cultura fonti di potere alternative che puntellassero il primato della legge.
In Europa occidentale, invece, la Chiesa cristiana imponeva dei limiti a quello che poteva fare il governante, e dunque la competizione militare, combinata con i vincoli imposti dal diritto canonico, portò all’affermazio- ne di uno Stato forte e al tempo stesso del primato della legge. In India, la presenza del sistema delle caste impediva che popolazioni intere potessero essere consacrate totalmente allo sforzo bellico: per questo laggiù le guerre non sono mai state violente come in Cina. Al tempo stesso, i codici di comportamento che promanavano dalle antiche scritture indiane storicamente hanno costituito un argine contro l’esercizio arbitrario del potere da parte dei governanti. Il risultato è che i Governi indiani raramente sono autocratici. La storia non è un destino, però influisce; e nessuno è ancora riuscito a spiegare perché in India si sia consolidata la democrazia mentre in alcuni dei Paesi vicini, che hanno trascorsi storici e culturali analoghi, questo non è avvenuto. Invece di fare speculazioni, voglio soffermarmi sulla relazione tra democrazia e libero mercato.
Sia la democrazia che la libera impresa creano concorrenza e prosperano grazie alla concorrenza. Ma mentre la democrazia tratta gli individui allo stesso modo, il sistema della libera impresa distribuisce potere agli individui in virtù del loro reddito e del loro patrimonio. Ma allora che cosa impedi- sce all’elettore mediano, in una democrazia, di votare per espropriare i ricchi? Una ragione per cui l’elettore mediano accetta di proteggere le proprietà dei ricchi e di tassarli moderatamente è che considera i ricchi persone che creano prosperità per tutti. Più i ricchi sono oziosi e corrotti, più l’elettore mediano voterà per imporre regolamentazioni stringenti e livelli di tassazione punitivi. In alcuni mercati emergenti, ai nostri giorni, oligarchi miliardari si sono arricchiti perché hanno saputo gestire bene il sistema, non perché hanno saputo gestire bene le loro imprese. Quando il Governo prende di mira questi ricchi magnati quasi nessuno alza la voce per protestare, e il Governo rischia di diventare più autocratico.
Un sistema di libera impresa competitivo, in cui tutti partono alla pari e giocano con le stesse regole, riduce al minimo questo rischio, consentendo che ad arricchirsi siano i più efficienti. Il problema, in molte democrazie occidentali, è che non tutti partono alla pari e giocano con le stesse regole. Per molti, nella classe media, la prosperità appare irraggiungibile, perché una buona istruzione – il passaporto odierno per la ricchezza – costa troppo. La crescente percezione di iniquità sta erodendo il consenso per il sistema di libera impresa.
E arriviamo infine all’India. Dei tre pilastri di Fukuyama, il più robusto da noi è quello della rendicontabilità democratica. Anche il primato della legge in generale viene rispettato. Dove abbiamo ancora molta strada da fare è nella capacità dello Stato di fornire servizi pubblici. Se la presenza di istituzioni forti impedisce che il Governo travalichi i suoi poteri, il nostro sistema di checks and balances avrebbe bisogno di quello che potremmo chiamare un balance of checks, un bilanciamento dei controlli. Lo sviluppo più rincuorante è che in tutta l’India cresce il numero di persone che hanno gli strumenti per competere, e cresce il numero di giovani imprenditori che non sono disposti a prostrarsi automaticamente di fronte al Governo. Se vogliamo avere prosperità e libertà politica, dobbiamo avere anche inclusione economica e regole uguali per tutti. L’accesso all’istruzione, all’alimentazione, alle cure sanitarie, alla finanza e ai mercati per tutti i nostri cittadini è un imperativo morale, proprio perché è una condizione preliminare per una crescita economica sostenibile (e democratica).
IL PROBLEMA In molte democrazie occidentali non tutti partono alla pari e giocano con le stesse regole. Per tanti la prosperità appare un traguardo irraggiungibile