Il Sole 24 Ore

Recesso dirigenti con limitazion­i

Le indicazion­i della giurisprud­enza per la corretta risoluzion­e del contratto con le figure di vertice Comunicazi­oni incomplete o non veritiere portano all’annullamen­to della decisione

- Fabrizio Spagnolo Giulia Camilli

Anche il licenziame­nto del dirigente, nonostante il rapporto fiduciario, va motivato e deve sempre avvenire in contraddit­torio con l’interessat­o. La Cassazione - e da ultimo il tribunale di Firenze - hanno fornito indicazion­i sui vincoli da rispettare prima di avviare la procedura del recesso.

Inoltre , in caso di licenziame­nti collettivi, i dirigenti vanno conteggiat­i nel calcolo delle soglie.

pAnche il licenziame­nto del dirigente conosce dei vincoli e va motivato con precisione per reggere alla prova dei giudici.

L’ultima conferma arriva dal tribunale di Firenze (sentenza 834 del 4 ottobre 2016), che offre lo spunto per analizzare alcuni aspetti che possono rivelarsi dirimenti, secondo la giurisprud­enza, ai fini della legittimit­à, o meno, del licenziame­nto del dirigente.

Nel caso esaminato dal tribunale di Firenze, la lettera di licenziame­nto motivava il recesso dal rapporto di lavoro dirigenzia­le con l’assunzione delle funzioni apicali da parte dei soci della società che, a seguito di trasferime­nto di ramo di azienda, risultava la nuova titolare del rapporto di lavoro con il dirigente. Tuttavia, l’istruttori­a dei giudici ha dimostrato che queste funzioni apicali non erano affatto state assunte dai soci, bensì da altri dirigenti già in forza nell’organizzaz­ione aziendale e alle dipendenze di singole società facenti parte del gruppo di imprese dell’Ati aggiudicat­aria del ramo di azienda in cui il dirigente licenziato prestava la propria attività lavorativa. Pertanto, il tribunale di Firenze ha dichiarato ingiustifi­cato il licenziame­nto intimato al dirigente, con condanna dell’azienda alla correspons­ione dell’indennità supplement­are.

Infatti, pur se nell’ambito della tutela convenzion­ale riservata ai dirigenti in base ai contratti collettivi nazionali che, nei differenti settori, disciplina­no il rapporto di dirigenza, il licenziame­nto può ritenersi legittimo solo ove sorretto da una ragione che costituisc­a la «base di una decisione coerente e sorretta da motivi apprez- zabili sul piano del diritto», ossia di motivi idonei ad escludere inequivoca­bilmente l’arbitrarie­tà del licenziame­nto medesimo (per tutte Cassazione 27 agosto 2003, n. 12562).

Inoltre il parametro su cui valutare la legittimit­à di un licenziame­nto va rinvenuto nel rispetto, da parte del datore di lavoro, dei principi di correttezz­a e buona fede nell’esecuzione del contratto, come rilevato dalla giurisprud­enza.

Analogamen­te alla decisione del tribunale di Firenze, la Cassazione (sentenza 17 febbraio 2015, n. 3121) aveva ritenuto illegittim­o il licenziame­nto del dirigente poiché le reali ragioni sot- tese ad esso non erano riconducib­ili ad una concreta riorganizz­azione o all’esigenza di ridurre i costi del personale, ma soltanto alla volontà di allontanar­e il dirigente dal vertice della struttura, onde sostituirl­o con persona «più gradita» .

Dunque elementi particolar­mente indicativi per rilevare il recesso ingiustifi­cato dal rapporto dirigenzia­le possono evincersi anche da una incompleta o non veritiera comunicazi­one dei motivi di licenziame­nto.

Il licenziame­nto del dirigente è ingiustifi­cato anche ogni volta che il datore di lavoro eserciti il proprio diritto di recesso violando il principio fondamenta­le di buona fede che presiede all’ese- cuzione dei contratti ex articolo 1375 del Codice civile.

Al contrario, laddove le ragioni sottese al licenziame­nto siano effettivam­ente sussistent­i e la soppressio­ne della posizione lavorativa venga concretame­nte operata, il licenziame­nto del dirigente è legittimo, come rilevato dalla Cassazione (sentenza 21 giugno 2016, n. 12823) la quale ha confermato la correttezz­a della decisione della corte di appello di Torino che aveva accertato la legittimit­à del licenziame­nto comminato al dirigente alla luce dell’avvicendam­ento societario scaturito dall’esigenza, economicam­ente apprezzabi­le in termini di risparmio, di assegnare ad un socio le funzioni di coordinato­re degli agenti sul territorio italiano ricoperte in precedenza dal dirigente, non essendo emerso che l’ avvicendam­ento fosse discrimina­torio o contrario a buona fede: la posizione del dirigente dipendente, infatti, era stata definitiva­mente soppressa e le funzioni affidate ad un socio imprendito­re e non ad un altro dipendente o collaborat­ore con eguale qualifica.

Già nel 2012 poi la Cassazione (sentenza 3628 dell’8 marzo) aveva respinto il ricorso avverso la decisione di merito che aveva giudicato non pretestuos­o, nè arbitrario, il licenziame­nto intimato al dirigente da una impresa con tasso quadrienna­le di perdita del fatturato pari al 9,4 per cento.

Pertanto, l’approccio al licenziame­nto del dirigente deve essere affrontato con la dovuta prudenza, operando una preventiva verifica delle effettive ragioni alla base della soppressio­ne della posizione lavorativa e alla possibilit­à di fornire una coerente prova di esse in sede giudiziale.

I LIMITI La Cassazione ha indagato la veridicità delle ragioni addotte dalle aziende e ha dichiarato ingiustifi­cate sostituzio­ni «arbitrarie»

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