Il nero di Manet e le rughe di Mantegna
Naso. A rendere inconfondibile Federico da Montefeltro, il duca di Urbino ritratto da Piero della Francesca, era quel naso che lui aveva fatto scavare alla radice da un chirurgo, per allargare la visione dell’occhio sinistro, l’unico rimasto. Il destro l’aveva perduto in un torneo. La pratica di intervenire chirurgicamente sui nasi era molto diffusa all’epoca (XV secolo). La praticavano soprattutto i barbitonsori o barbieri cerusici, qualche volta di nascosto, essendo la chirurgia proibita ai medici fin dal Concilio di Reims del 1131.
Rughe. Il naturalismo estremo di Mantegna si vede anche nelle rughe dipinte sotto le piante dei piedi del Cristo morto.
Fiori. Il botanico Guido Moggi, incaricato nel 1982 di studiare i fiori dipinti da Botticelli nella Primavera, ne riconobbe oltre cinquecento esemplari diversi e scoprì che esistono ancora tutti nel prato della Villa di Castello.
Gioconda. Nel 1797 la Gioconda fu esposta al museo del Louvre, creato con la Rivoluzione, ma nel 1801 Napoleone la reclamò per la camera da letto di Giuseppina Beauharnais.
Massaggi. Ricorda Gianluigi Colalucci, il restauratore di Michelangelo nella Cappella Sistina, che in occasione della pulitura delle dita del Creatore arrivarono centinaia di richieste di visitatori eccellenti che volevano salire sui ponteggi: «Intorno c’era sempre una specie di salotto, studiosi e artisti, attori del cinema e sovrani di mezzo mondo. E nei momenti di relax anche una giapponese che faceva massaggi».
Atropina. Lo sguardo della Ragazza con orecchino di perla di Vermeer è carico di fascino e mistero. Brilla di una luce interiore o grazie all’atropina, collirio usato come espediente di bellezza dalle dame del Rinascimento per dilatare la pupilla e lucidare gli occhi.
Profumi. Il Bagno turco dipinto da Ingres si trovava a Costantinopoli, come l’aveva descritto Lady Montagu: «Erano circa duecento bagnanti. I primi sofà furono coperti di cuscini e di ricchi tappeti e quelle donne vi si sistemarono. Erano tutte nude. Dopo il pasto si finì col caffè e coi profumi. Due schiave mi coprirono d’incenso i capelli, il fazzoletto, i vestiti».
Nero. Il nero di Manet era uno degli elementi che più colpì gli artisti suoi contemporanei. Lo usò fin dall’inizio, in infinite gradazioni, per sottolineare la verità del soggetto, e spesso la crudezza, il vizio, la miseria.
Maturi. Munch appendeva i suoi dipinti ai rami degli alberi, per farli maturare: «Hanno bisogno di sole, di sporco, di pioggia; i quadri vivono nella precarietà di ogni organismo vivente, nelle macchie e nelle rughe affiora la loro anima».
Cézanne. Per Woody Allen la vita merita di essere vissuta per almeno due motivi: il secondo movimento della Jupiter di Mozart e le mele di Cézanne. E in fondo i due motivi si potrebbero riassumere in uno solo: entrambe le opere sono infatti costruite su una sequenza armonica di accordi.
Frutti. Cézanne confidò di origliare le conversazioni tra i frutti che stava dipingendo.
Jazz. Alla fine le Composizioni di Mondrian altro non sono che alberi dipinti a ritmo di jazz.
Ritmo. Così Matisse creò la Danza: «Il primo elemento della costruzione fu il ritmo, il secondo una vasta superficie blu scuro che alludeva al cielo mediterraneo nel mese di agosto, il terzo il verde scuro dei pini. Partendo da questi elementi, i personaggi non potevano che essere rossi, per ottenere un accordo luminoso».
Notizie tratte da: Lauretta Colonnelli, Cinquanta quadri. I dipinti che tutti conoscono. Davvero? Edizioni Clichy, pp. 333, euro 35,00