Se la coerenza dei valori prevale sulla tattica
Peccato che, macerato dalla nostalgia del potere, il leader dell’Alde abbia perso lucidità orchestrando l’anomalo matrimonio con il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo.
l sodalizio tra il perbenismo politicoideologico del liberalismo europeo e la sedizione anti- sistema eletta a politica del grillismo “descamisado” è apparsa subito ai liberali non una spregiudicata ma utile scelta strategica ma una contorsione impossibile e assolutamente inaccettabile.
Da una parte un partito che discende dalla tradizione alta della democrazia rappresentativa europea, un partito europeista e federalista, pro- euro, prodisciplina dei conti pubblici, pro- riforme, proTtip e libero commercio.
Dall’altra il suo esatto contrario: un movimento personalistico nato e cresciuto sul web non privo di ombre, campione della democrazia diretta dal basso però pilotata dall’alto, nazionalista, localista, protezionista e no- global, anti- federalista, anti- europeista e antieuro, anti- rigore e promutualizzazione del debito italiano.
Se la scelta di Grillo di passare dall’estremismo euroscettico del gruppo di Nigel Farage, l’autore di Brexit, all’estremismo opposto del club di Verhofstadt aveva una logica immediata nella conquista di più potere, soldi e poltrone parlamentari e, in prospettiva, di un’aura di presentabilità politica anche in vista delle elezioni italiane, quella di Verhofstadt è suonata ai più come un’operazione più a perdere che a guadagnare.
È vero che con l’ingresso dei 17 del M5S il gruppo liberale sarebbe tornato più forte nell’emiciclo ma lo spudorato cinismo che lo ispirava rischiava di trasformarsi in un micidiale boomerang politico: nella prova provata, la prima, dell’imbarbarimento dei partiti tradizionali che, per il più bieco opportunismo politico, accettano di pagare qualsiasi prezzo, calpestando la propria identità e i propri valori, accodandosi ai cattivi maestri populisti nella vana illusione di poterne trarre solidi benefici o magari riuscire anche ad ammaestrarli.
Non è andata così, questa volta. Forse Verhofstadt, che voleva la poltrona più alta del parlamento, alla fine perderà anche quella di leader del gruppo. « Quella di Grillo non era la conversione di Paolo sulla via di Damasco. Sull’economia niente ci univa al suo movimento, dietro il quale si dice ci sia anche l’ombra della Russia di Putin, che di questi tempi mesta nelle democrazie occidentali » , commenta la liberale francese Sylvie Goulard.