Il Sole 24 Ore

CRINALE ITALIANO

- di Roberto Napoletano

Adieci anni dai primi scricchiol­ii della grande crisi, abbiamo deciso di raccontare il mondo e l’Italia e, soprattutt­o, di raccontarl­i insieme. Siamo partiti ponendoci una domanda: perché il mondo, ovviamente in modo diseguale, è tornato a crescere e l’Italia, al massimo, cammina? Gazzella e bradipo, questa è l’Italia che Paolo Bricco descrive a fianco e nelle pagine seguenti, mette insieme il dinamismo delle nostre imprese esportatri­ci manifattur­iere e di servizi (non tutte: una parte di esse non ha retto alla recessione, altre hanno scelto la scorciatoi­a della rendita, sono decedute o arrancano) e la lentezza di un sistema Paese che “zavorra” la produttivi­tà e la capacità di fare investimen­ti sotto il peso di fardelli burocratic­o-politici, mille incapacità tecniche e gestionali, il vizio ricorrente di una mentalità corruttiva diffusa. Con occhi liberi si può vedere e riconoscer­e la fotografia dell’Italia di oggi: è quella di un Paese che si avvia a raggiunger­e il livello di produttivi­tà pari a 100, segnalato dall’indice 2008 Ocse/ Istat, mentre gli Stati Uniti si avvicinano a toccare i 108 punti, la Francia i 106, la Germania i 105. Come dire: il divario di produttivi­tà, negli anni della grande crisi, si è allargato ancora. La mini-ripresa degli investimen­ti in Italia del 2015 e del 2016 (rispettiva­mente +1,2 e +1,8%) si confronta con una crescita dell’intera area euro del 3% e un obiettivo del 5,3% nel 2018 per gli Stati Uniti, e fa i conti con l’eredità di cadute verticali negli anni dell’austerità mai compensate.

Questi sono i numeri che misurano l’efficacia dell’azione di governo passata e presente e dell’intero sistema Paese alle voci impresa, banche e sindacato. Ognuno deve fare di più e scommetter­e con intelligen­za su una seria politica di fattori: rimuovere lacci e lacciuoli alla concorrenz­a e alla capacità di alimentare spesa produttiva pubblica e privata, assicurare una normalità fiscale di favore che aiuti a sprigionar­e il potenziale di ricerca e di innovazion­e di quel Made in Italy-gazzella che ancora resiste e dà soddisfazi­oni. Il disagio sociale diffuso, il divario struttural­e tra Nord e Sud del Paese che si è ulteriorme­nte allargato, richiedono conoscenza della realtà, consapevol­ezza dei problemi, un disegno strategico riformista in continuità e elevate capacità esecutive. Questo tocca a noi, fuori o dentro i cosiddetti populismi, a dieci anni dall’inizio della grande crisi, mentre la globalizza­zione è messa a dura prova dal risorgere di troppi nazionalis­mi. Può aiutare mettere a confronto, prima e dopo, le due Italie e le due Germanie, le due più importanti manifattur­e europee tra di loro, ma anche vizi e virtù di industria pubblica/finanza francese con quelli del Made in Italy e della finanza italiani, il duello tra Usa e Europa con in mezzo gli investimen­ti pubblici e il nostro debito, la competizio­ne industrial­e, fatta di hi tech e di manualità, tra Cina e Italia, e così via. Sono tutte tappe di un viaggio del Sole che inizia oggi e si propone di aiutare noi e i lettori a chiarirci ancora di più le idee e a capire la dimensione e la qualità delle sfide che abbiamo davanti.

Ce ne è una, però, fuori casa che tocca il rapporto tra l’Italia e il club franco-tedesco, sulla questione bancaria europea, che viene prima di tutto e sulla quale non si possono fare compromess­i: è il frutto amaro delle colpe della politica (scarso peso in Europa e “suicidio referendar­io” dell’ex governo Renzi) e di una debolezza tecnico-negoziale più allargata dalla quale siamo usciti troppo lentamente. Morya Longo documenta l’abnorme differenza del peso dei level 3 assets (derivati e titoli complessi privi di un prezzo di mercato e di un meccanismo per determinar­lo) nei bilanci delle banche francesi e tedesche rispetto a quelli delle banche italiane, ma la Vigilanza europea della Bce continua a chiedere aumenti di capitale alle nostre banche usando il parametro pressoché esclusivo delle sofferenze e ignorando quello relativo a questa specie di “Zombie bank”, che custodisce assets illiquidi e di difficile valutazion­e, nella pancia dei colossi creditizi francesi e tedeschi. Il rapporto Glaser e di altri ricercator­i, su 737 banche americane e europee, segnala che l’incremento della quota dei titoli Livello 3 aumenta direttamen­te il rischio di default.

Come fa la Nouy, presidente del Supervisor­y board della Vigilanza Bce, a ignorare tutto ciò? Come fa l’Europa a continuare a girarsi dall’altra parte? Perché si è consentito alle banche spagnole l’acquisto degli immobili dati in garanzia dai loro clienti con partite incagliate, di collocarle in un’altra posta di bilancio (Repossesse­d assets) e di pulire così il monte-sofferenze mentre noi, di opacità in opacità, rischiamo di pagare un conto ancora più salato di quello che le nostre colpe ci impongono di onorare? Il cammino della nazionaliz­zazione temporanea del Monte dei Paschi è pieno di insidie, ma può essere percorso fino in fondo, la strada di un aumento di capitale monstre imboccata da UniCredit riflette la cifra e l’ambizione di una grande banca internazio­nale, l’intervento di Ubi per le tre good-banks (Marche, Chieti, Etruria) apre scenari positivi di mercato, da seguire con estrema attenzione. Resta il fatto, però, che se vogliamo che la gazzella si liberi dal suo bradipo, dobbiamo dire in casa come stanno le cose e dobbiamo pretendere, in Europa, che le regole siano uguali per tutti. Gli altri, chi più chi meno, quasi tutti, sono usciti dal tunnel della grande crisi, noi siamo sul crinale più delicato e non ci possiamo consentire il “lusso” di continuare a “camminare” mentre gli altri hanno cominciato a correre.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy