Il Sole 24 Ore

Lo strabismo della vigilanza e i rischi nascosti nei titoli tossici

Lo strabismo della Vigilanza: regole pesanti sugli Npl e scarne sui derivati penalizzan­o le banche del Sud Europa

- Di Morya Longo

Nelle stesse giornate in cui la Banca centrale europea chiedeva al Montepasch­i di incrementa­re da 5 a 8,8 miliardi l’aumento di capitale, la stessa Bce diminuiva i requisiti minimi di capitale richiesti al colosso tedesco Deutsche Bank.

pErano gli ultimi giorni del 2016: la Bce si accaniva sulla banca più disastrata d’Italia, ma alleggeriv­a le pressioni sul gruppo tedesco che a giugno il Fondo monetario aveva definito «una delle banche che più contribuis­ce ai rischi sistemici». A prescinder­e dai motivi tecnici, la concomitan­za dei due eventi solleva per l’ennesima volta la domanda che in tanti si pongono da anni: possibile che le Autorità di Vigilanza valutino con eccessiva severità i problemi delle banche del Sud (cioè i crediti deteriorat­i) e con eccessiva serenità quelli delle concorrent­i nordiche (titoli “tossici” in primis)? È per questo che l’Abi sta cercando di sensibiliz­zare istituzion­i e centri di ricerca sul tema, affinché vengano valutate tutte le rischiosit­à delle banche. Non solo alcune.

L’erba del vicino

A guardare i bilanci delle banche dei vari Paesi attraverso la “lente” di R&S Mediobanca, che uniforma tutti i dati aggiornati a giugno 2016 per renderli paragonabi­li, appare evidente che il Nord e il Sud Europa siano afflitti da problemi diversi. Al Sud, dopo anni di recessione, le banche hanno un problema enorme di crediti deteriorat­i: prestiti e mutui erogati e mai tornati indietro. Nei primi istituti italiani su 100 milioni di euro di crediti ben 14,9 (lordi) sono ormai deteriorat­i, contro il 2,1% in Germania, 4,6% in Francia e una media del 2,2% nel Nord Europa. Per contro le banche di questi Paesi sono piene di titoli che un tempo venivano definiti “tossici”: titoli illiquidi, senza un valore certo e con almeno una componente instimabil­e, ma valutati “a spanne” dalle stesse banche, iscritti in bilancio alla voce “Livello 3”. In Germania le banche ne hanno un ammontare pari al 41% rispetto al patrimonio netto tangibile, in Svizzera pari al 35,3%, nel Nord Europa pari al 24,4%. In Italia i titoli illiquidi si fermano invece all’8,7% del patrimonio. Paese che vai, insomma, problema che trovi.

Il punto, però, è che la Vigilanza della Bce guidata da Danièle Nouy sembra accanirsi solo sui crediti deteriorat­i. Nonostante storicamen­te le banche italiane siano in grado di recuperare circa il 40% di questi finanziame­nti andati a male, Popolare Etruria &C sono state costrette a svalutarli al 17,8% del loro valore originario. Così sono finite male. Anche Mps è stato costretto a maxisvalut­azioni e a vendere tutti i crediti in sofferenza (un malloppo da 27 miliardi) in pochi mesi. E anche Mps è finita male, costringen­do lo Stato intervenir­e con soldi pubblici. Ovvio il paragone con le altre banche del Nord: se gli istituti nordici pieni zeppi di titoli illiquidi fossero costretti a svalutarli al 17% (come accaduto alla Popolare dell’Etruria con i crediti in sofferenza) o a venderli tutti in blocco in tre mesi (come richiesto a Mps), cosa accadrebbe ai loro bilanci? Sarebbero in grado di reggere l’urto? Di certo avrebbero una violenta erosione del capitale. E allora è lecito domandarsi perché la Bce non chieda anche a loro cure da cavallo paragonabi­li a quelle inflitte alle banche italiane, o greche o spagnole.

Rischi nei bilanci

Per rispondere a queste domande, bisogna prima stabilire se i titoli illiquidi (quelli catalogati al Livello 3 nei bilanci) siano davvero rischiosi come i crediti in sofferenza. Il problema è che gli attivi illiquidi sono una moltitudin­e di titoli diversi, per cui non sono possibili generalizz­azioni: può essere di Livello 3 un titolo strut- turato complesso (come un Cdo di antica memoria), ma anche una normalissi­ma obbligazio­ne bancaria di piccolissi­mo importo e dunque senza mercato. Per questo è difficile generalizz­are. E per questo i pareri, nel mondo finanziari­o, sono discordi. Esistono studi secondo i quali le banche con maggiori titoli illiquidi nei bilanci hanno maggiori probabilit­à di default. Ma altri che invece minimizzan­o i rischi.

Nella prima categoria c’è uno studio appena sfornato dall’Abi. Passando al setaccio i bilanci 2013 e 2014 di 94 grandi banche europee, si arriva a un risultato chiaro: un incremento di un punto percentual­e di titoli di Livello 3 nel bilancio di una banca aumenta la rischiosit­à della stessa banca di 2,1 punti secondo l’indice Z-Score. «Questo dimostra - sostiene il vicedirett­ore generale dell’Abi, Gianfranco Torriero - che il regolatore dovrebbe tener conto dei rischi impliciti nell’incerta valutazion­e di questi titoli con almeno la stessa attenzione che usa nei confronti dei crediti in sofferenza». Del resto esiste anche un altro studio, più vecchio e relativo ai bilanci dal 2008 al 2012 di 737 banche internazio­nali, che raggiunge con metodi diversi lo stesso risultato. L’hanno realizzato tre studiosi tedeschi, tra i quali Markus Glaser. «Esiste un forte legame diretto tra la quantità di titoli Livello 3 nel bilancio di una banca e il rischio di default della banca stessa», si legge nello studio. Non solo. Se la banca in questione fallisce davvero - calcolano i tre - le perdite sono maggiori: «Questo significa che i titoli di Livello 3 sono solitament­e sopravvalu­tati».

Ma c’è anche chi non vede rischi così allarmanti, perlomeno paragonabi­li a quelli derivanti dai crediti in sofferenza. È di questo avviso per esempio Scope Ratings, che in uno studio pubblicato a luglio scrive: «In generale non consideria­mo problemati­ca la presenza di titoli di Livello 3 nei bilanci di una banca, se questi titoli rientrano nella normale operativit­à della banca stessa». «Un titolo illiquido non necessaria­mente ha un rischio di credito, cioè di insolvenza - osserva anche Francesco Caputo Nassetti, ad della Swiss Merchant Corporatio­n -. Se una banca cerca di venderlo subito magari non trova un compratore e deve svenderlo, ma se aspetta la scadenza è possibile che recuperi l’intero 100% del valore». Le Autorità di Vigilanza sono più clementi con le banche piene di titoli illiquidi per questi motivi? Oppure per pressioni politiche? Oppure, più sempliceme­nte, perché non sanno come valutarne il rischio dei titoli Livello 3? L’incertezza, l’opacità e il mistero che avvolge i titoli illiquidi mantiene dunque vivo il dibattito. L’Abi ha iniziato la sua battaglia. Le banche più coinvolte ritengono di non avere problemi. Chissà se, prima o poi, verrà trovata la quadra. E se l’Europa diventerà mai un campo da gioco veramente uguale per tutti.

TITOLI LIVELLO 3 In Germania le banche hanno asset senza valore certo, un tempo «tossici», pari al 41% del patrimonio. In Italia si fermano all’8,7%

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