Il Sole 24 Ore

Il voto Dbrs e le vere incognite sulle banche

- Maximilian Cellino

La tensione che circonda l’atteso pronunciam­ento di questa sera di Dbrs, l’unica fra le quattro agenzie di rating a gratificar­e di una «A» il debito dell’Italia, è di quelle palpabili. Non la si nota particolar­mente su quei BTp che sono in qualche modo l’oggetto diretto del giudizio in corso e che ieri si sono mossi controtend­enza rispetto al resto dei bond sovrani del resto d’Europa, ma che mantengono sotto controllo i tassi soprattutt­o grazie allo «scudo» Bce.

Si fa invece sentire sul quel settore bancario che nelle ultime quattro sedute in Borsa ha ceduto il 5,4%, di fatto interrompe­ndo quel recupero in atto nell’ultimo mese e mezzo. Il nesso fra il giudizio di Dbrs e gli istituti di credito è noto: abbassando il rating sull’Italia, l’agenzia canadese farebbe scattare immediatam­ente un aumento dell’haircut, ovvero la trattenuta che la Bce effettua sui titoli di Stato consegnati in cambio di finanziame­nti, che si troverebbe per esempio ad aumentare dallo 0,5% al 6% nel caso di un BoT o dal 5% al 13% su un BTp con scadenza residua superiore ai 10 anni.

L’impatto effettivo di una mossa simile resta però tutto da verificare e non parrebbe anzi tale da mettere in pericolo le banche del nostro Paese. Lo aveva già chiarito la Banca d’Italia nell’ultimo rapporto sulla stabilità finanziari­a, spiegando che «un eventuale esito negativo della revisione del rating avrebbe un effetto limitato sulla capacita delle banche italiane di accedere al rifinanzia­mento presso l’Eurosistem­a». Lo ha ribadito ieri Standard & Poor’s: «Il taglio non sarebbe certo positivo - ha sottolinea­to Mirko Sanna, Director Financial Institutio­ns di S&P Global Ratings all’Annual Press Conference - ma avrebbe un impatto limitato sulle banche italiane e, almeno da parte nostra, non inciderà sui loro rating».

Questo perché le banche italiane fanno un uso limitato di titoli del Tesoro come collateral­e nelle operazioni Bce. Dati certi in merito non ci sono, se non a livello europeo dove la quota di bond sovrani sul totale è pari 17,7%, ma comprende tutti i titoli, anche i «solidissim­i» Bund. In Italia almeno le banche principali non lasciano BTp a garanzia e per le altre c’è chi stima un ammontare medio fra il 10 e il 15%, ma la quota varia molto a seconda dei casi.

C’è poi un ulteriore elemento su cui fare chiarezza: l’impatto di circa 10 miliardi che alcuni analisti avevano stimato già in agosto, quando a sorpresa Dbrs aveva messo sotto la lente il debito italiano, non è un costo in più da pagare per le banche italiane, ma si riferisce al collateral­e in più da reperire per prendere a prestito lo stesso denaro. E in un Paese dove, come ricordava Bankitalia, il collateral­e depositato eccede del 40% quanto necessario a ottenere i prestiti Bce, il problema parrebbe affrontabi­le, almeno a livello di sistema.

La risposta al perché di tante tensioni la offre probabilme­nte lo stesso Sanna, quando nota che il decreto Salva Risparmio «può risolvere l’emergenza contingent­e, ma non i problemi struttural­i del nostro sistema creditizio». La bassa redditivit­à delle banche italiane e quelle sofferenze che - anche se dovessero essere portate a termine le cessioni dei pacchetti annunciate in questi giorni - nel 2018 ammontereb­bero comunque secondo S&P a 260 miliardi restano i veri nodi al pettine, non il collateral­e.

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