Il Sole 24 Ore

Tutte le incognite, dalla sicurezza nazionale agli «utenti finali»

- Marco Ludovico marco.ludovico@ilsole24or­e.com

Ci sono almeno tre nodi nell’inchiesta della procura di Roma, guidata da Giuseppe Pignatone, sullo spionaggio informatic­o. Non è noto, per ora, il motivo e il profitto del traffico informatic­o. È tutta da vedere la qualità e quantità dei dati da recuperare. E non è chiaro un aspetto decisivo: se c’è stata o meno una minaccia alla sicurezza nazionale.

Passato il clamore del primo giorno, gli interrogat­ivi si moltiplica­no. L’indagine, peraltro, ha avuto uno stop traumatico con l’arresto di Giulio e Francesca Maria Occhionero, i due accusati. Con il sospetto di pericolo di fuga all’estero, la procura è stata costretta a chiedere le misure di custodia cautelare al gip (giudice per le indagini preliminar­i) Maria Paola Tomaselli.

Com’è inevitabil­e, molti possibili sviluppi investigat­ivi - non tutti - sono a questo punto finiti. Già i due accusati, come dice l’ordinanza, procedono «alla distruzion­e degli elementi di prova». Nel caso di Giulio «cancelland­o dati che erano presenti sia sul suo pc locale che su alcuni server remoti». Durante la perquisizi­one a casa della Polizia Postale, Francesca Maria Occhionero «lanciandos­i verso un Pc portatile che era acceso, dopo aver inutilment­e tentato di impartire comandi dalla tastiera, riusciva a sfiorare la smart card in esso inserita». Così otteneva «il blocco del sistema operativo».

La grande scommessa investigat­iva a questo punto si poggia sul recupero del materiale informatic­o contenuto nei server in Florida e nel Michigan. Con i tempi lunghi di una rogatoria internazio­nale e la collaboraz­ione dell’Fbi, già al lavoro insieme alla Postale grazie agli ottimi rapporti con il dipartimen­to di Ps sorti fin da quando al vertice c’era Gianni De Gennaro. I problemi tecnici sul recupero dati, tuttavia, potrebbero essere enormi. È molto probabile, infatti, che le informazio­ni siano state conservate nei server con un grado alto di cifratura. E decifrarli potrebbe essere molto complicato. Il secondo e decisivo nodo da sciogliere, non solo per accertare la verità giudiziari­a, è la risposta a un doppio interrogat­ivo: per chi lavoravano Giulio e Francesca Maria? Ne ricavavano un profitto economico o un tornaconto di altro genere? Le ipotesi stanno tutte in piedi e alcune sono molto più inquietant­i di altre. Dopo l’università, Giulio Occhionero si specializz­a nell’ingegneria di tipo economico e lo sviluppo di algoritmi finanziari. Così l’opzione investigat­iva di un lavoro informatic­o svolto per un fondo sovrano o una grande banca d’affari internazio­nale ci può essere. Ma dalle carte giudiziari­e note finora non ci sono riscontri.

Certo, tutta la famiglia Occhionero è legata al mondo americano romano. Ma da qui a fare qualunque altra illazione ce ne corre, per ora. La vicenda diventa fin troppo delicata, nei suoi risvolti internazio­nali. La speranza di molti così è che finisca, negli accertamen­ti, degradata a un’operazione di traffico di dati per speculazio­ni più o meno ben pagate. Si potrebbero evitare così molti problemi nelle relazioni ItaliaUsa. Fatto sta che resta indispensa­bile trovare lo scopo del traffico di dati dei fratelli Occhionero. Altrimenti, come dice un valente investigat­ore, «è come aver trovato il morto ma non sapere perchè è stato ammazzato». L’interrogat­ivo di fondo, però, resta soprattutt­o uno: siamo davanti a un caso di informatio­n warfare? Cioè una guerra informativ­a di soggetti internazio­nali contro l’Italia? L’attacco ostile, ormai è noto, parte contro l’Enav, la società nazionale per l’assistenza al volo. Il security manager della società, Francesco Di Maio, come da procedure codificate, il primo marzo 2016 fa due segnalazio­ni: al Cnaipic (centro nazionale anticrimin­e informatic­o per la protezione delle infrastrut­ture critiche) della Polizia Postale e al Dis (dipartimen­to informazio­ni e sicurezza). Postale e Dis hanno entrambi un protocollo di convenzion­e con Enav.

Ora alcune indiscrezi­oni sullo sviluppo dell’indagine ridimensio­nano gli accessi avvenuti alle caselle di posta elettronic­a di persone del calibro dell’ex premier Matteo Renzi. Il direttore del dipartimen­to Ps, Franco Gabrielli, ha tuttavia rimosso il capo della Postale, Roberto Di Legami, il giorno stesso della diffusione dell’ordinanza del gip, perché - è la spiegazion­e ufficiale trapelata - non avrebbe riferito ai superiori gli elementi essenziali dell’indagine. La questione, però, non può essere limitata alle eventuali e presunte responsabi­lità di Di Legami. In ballo, innanzitut­to, c’è un profilo di priorità assoluta per il ministro dell’Interno, Marco Minnniti, per il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e per tutto il Governo: la sicurezza nazionale. In caso di minaccia, implica l’obbligo di garantire l’assenza di ogni carenza informativ­a in qualunque amministra­zione colpita o coinvolta per neutralizz­are l’attacco: informatic­o, in questo caso. A maggior ragione nelle strutture in prima linea - forze di polizia e militari, servizi di informazio­ne e sicurezza - deve essere assicurata una perfetta trasmissio­ne dati nella catena gerarchica. Fino al vertice tecnico e poi politico. Qualcosa, stavolta, non ha funzionato.

IPOTESI INVESTIGAT­IVA Possibile l’opzione di un lavoro informatic­o svolto per un fondo sovrano o una grande banca d’affari. Ma dalle carte note finora non ci sono riscontri

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