Il Sole 24 Ore

Così il «centro» può battere i populismi

Tornare a guidare il dibattito e non subirlo, essere propositiv­i: le soluzioni devono essere radicali ma anche razionali

- Di Tony Blair

Non ci sono dubbi sulle ondate di scontento e rabbia che si abbattono sulla politica occidental­e. Il Regno Unito si è espresso a favore dell’uscita dall’Unione europea dopo quarant’anni di appartenen­za, mettendo a repentagli­o tutti i complessi e intricati rapporti commercial­i e politici venutisi a creare durante una relazione così lunga. Contro tutte le previsioni dei sapientoni politici, Donald Trump ha vinto la corsa alla presidenza degli Stati Uniti, cosa che la classe politica riteneva realmente inconcepib­ile. In tutta Europa, nuovi partiti politici stanno facendo rapidi scatti in avanti e tutti hanno come presuppost­o variazioni di un medesimo tema: l’establishm­ent politico ci ha ignorati e noi in segno di protesta lo sbatteremo fuori.

Una caratteris­tica peculiare di questo sollevamen­to è che l’impeto a favore del cambiament­o è diventato più importante di qualsiasi consideraz­ione su che cosa esso significhi in pratica. Le affermazio­ni dei leader che cavalcano quest’onda possono essere del tutto sfasate rispetto alle consuetudi­ni e alle regole della politica, ma ciò non è rilevante. Quel che interessa è che la rivolta sia in atto, e che chiunque ha la fortuna di cavalcare l’onda giusta arrivi fino a riva.

Al contrario, i politici che espongono tesi a lungo ponderate, quelle convenzion­ali alle quali siamo abituati, irritano gli elettori ribelli, provocando abbandoni impulsivi, disprezzo e in qualche caso derisione.

Ci sono innumerevo­li analisi sui fattori all’origine dell’impennata populista: i redditi stagnanti della classe operaia e del ceto medio; il sentimento di emarginazi­one avvertito dalla popolazion­e che riesce a stento a tirare avanti; le comunità che si disgregano a causa del cambiament­o economico; e la resistenza alle forze apparentem­ente ininterrot­te della globalizza­zione: il commercio e l’immigrazio­ne.

Anche i social media hanno un ruolo di primo piano in questa ondata: consentono ai mo- vimenti di acquisire rapidament­e una portata enorme, contribuis­cono alla frammentaz­ione dei media e creano un mondo nuovo dell’informazio­ne nel quale non valgono più le regole dell’oggettivit­à, e dove ogni teoria della cospirazio­ne può esercitare pressioni e prevalere sui fatti – e le verifiche sui fatti – intralcian­do loro in modo fiacco la strada.

Circa 20 anni fa, quando per la prima volta ho partecipat­o alle elezioni da leader, in un Paese come la Gran Bretagna il più importante notiziario della sera alla Bbc aveva un seguito di circa dieci milioni di ascoltator­i. Oggi il loro numero supera di poco i 2,5 milioni. Quello che un tempo era il dibattito pubblico ora si suddivide in molteplici rivoli, spesso tra persone che per altro condividon­o le medesime opinioni.

Il cambiament­o subentrato nelle modalità di ricezione e di discussion­e delle informazio­ni è un fenomeno rivoluzion­ario già di suo. I media tradiziona­li, che potrebbero riaffermar­e il loro ruolo di vettori di notizie affidabili, hanno deciso che è molto più facile e più praticabil­e dal punto di vista commercial­e rafforzare la fedeltà degli ascoltator­i che non metterli alla prova.

Naturalmen­te, alcuni provano una sensazione di potere nel trasgredir­e alle convenzion­i e scuotere l’ordine vigente. Ma non dovremmo farci troppe illusioni. Scuotere il sistema può effettivam­ente indurre il cambiament­o necessario, ma altresì avere conseguenz­e non previste né inoffensiv­e.

Stiamo entrando in un periodo politico molto pericoloso dal punto di vista politico. Da un recente sondaggio è emerso che una mi- noranza significat­iva di cittadini francesi non è più convinta che la democrazia sia il giusto sistema di governo per la Francia. E il sostegno a un modello di leadership autoritari­a è in crescita un po’ ovunque.

Il populismo non è certo nuovo. Il cambiament­o economico non è nuovo. L’ansia per l’immigrazio­ne non è nuova. E neanche lo sfruttamen­to delle insoddisfa­zioni popolari è qualcosa di nuovo.

A essere nuovo è il contesto, e così pure l’incapacità del centro in politica di reagire in maniera efficace.

La verità è che le forze del centrosini­stra e del centrodest­ra sono diventate compiacent­i e non sono più in contatto. Noi (e uso il plurale di proposito, perché mi identifico appieno con una visione centrista e pragmatica della politica) siamo diventati amministra­tori passivi dello status quo, non catalizzat­ori del cambiament­o.

In Europa la Ue arranca a far ripartire la crescita economica e si perseguono riforme mentre sullo sfondo si palesano le conseguenz­e spesso crudeli dell’austerità. Negli Stati Uniti è evidente che la classe lavoratric­e bianca della Rust Belt nel Midwest si è sentita trascurata, e si è sentita indietro.

L’immigrazio­ne influisce sulle comunità cambiandol­e, e anche se non vi sono dubbi che nel complesso e col tempo la fresca energia e il vigore degli immigrati apporterà benefici al paese, l’impatto immediato della stessa può essere travolgent­e e problemati­co. Del resto, non sussistono neanche più dubbi sul fatto che in linea generale più commercio genera più posti di lavoro, mentre le politiche protezioni­stiche ne creano meno. Sul breve periodo, tuttavia, i posti di lavoro che richiedono alte competenze e sono molto retribuiti spesso scompaiono. La tecnologia accentuerà questi cambiament­i.

Se a tutto ciò si aggiunge la crisi finanziari­a del 2008 con le sue ripercussi­oni e l’estremismo – che dal 2001 è stato al primo posto tra le preoccupaz­ioni legate alla sicurezza e ha alimentato le paure nei confronti del fenomeno dell’immigrazio­ne – non possiamo certo stu- pirci della turbolenza della nostra attuale situazione politica. Anzi, potremmo affermare al contrario che essa sembra proprio inevitabil­e.

E così la sinistra si schiera contro il mondo degli affari, la destra contro l’immigrazio­ne e il centro oscilla a disagio tra soddisfazi­one e inquietudi­ne.

Non è così che in passato il centro ha vinto. Il centro – soprattutt­o il centro progressis­ta – vince quando ha spirito di iniziativa, quando guida il dibattito, quando le soluzioni che prospetta sono radicali ma nel contempo anche razionali. Soltanto un centro forte e animato da nuovo vigore potrà sconfigger­e l’impennata del populismo.

Questo oggi è il requisito più urgente da soddisfare. Non serve a nulla denigrare la rabbia degli elettori. Il centro deve rispondere politicame­nte. Dalla politica macroecono­mica alla trasformaz­ione del settore pubblico (incluse istruzione e assistenza sanitaria tramite la tecnologia), a politiche per la sicurezza e l’immigrazio­ne in grado di dare risposta alle paure della gente comune difendendo i nostri valori, il centro deve riscoprire l’agenda politica del futuro, perché si basa su risposte, non sulla rabbia.

Se il centro riuscirà in questo intento, richiamerà di nuovo a sé gli elettori raziocinan­ti che si sono uniti alla rivoluzion­e perché insoddisfa­tti e frustrati, perché ignorati. Basta questo: il margine della sconfitta – nel referendum del Regno Unito sulla Brexit come nel successo di Trump – non è quello di una vittoria elettorale schiaccian­te.

La gente ha molto da perdere in situazioni di caos e instabilit­à, ed è propension­e naturale di tutti evitare qualsiasi cosa le avvicini troppo. È importante che sappiano, però, che c’è qualcuno che li ascolta. Solo allora potremo cambiare la nostra attuale situazione politica indirizzan­dola verso un futuro migliore e più pieno di speranza.

OLTRE L’ESODO SIRIANO Per ora, l’impatto dei migranti è travolgent­e e problemati­co, ma alla lunga il loro apporto darà energia fresca e vigore ai Paesi di destinazio­ne

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Il nodo. L’immigrazio­ne e la nascita di tanti campi per migranti sono fra le cause del populismo

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